Perchè sono di sinistra, tanto per cominciare: è ovvio che se fossi di destra, o cattolico, non voterei un partito di sinistra.
Data questa premessa, il punto principale è che non ci sono alternative ragionevoli. Non mi sfiora neppure l’idea di votare per il Partito Democratico, neppure col ricatto morale (il solito, da 15 anni) che “altrimenti vince Berlusconi”. Chi è di sinistra non dovrebbe farlo, per il semplice fatto che il PD non è di sinistra: né nei programmi, né nei candidati, né nel modello di (dis)organizzazione politica che propone. Il programma del PD è inquietantemente simile a quello del PdL: sostegno al mondo imprenditoriale attraverso una politica di agevolazioni fiscali, flessibilità del lavoro (anche con specchietti per le allodole, come la defiscalizzazione di straordinari e premi di produttività: un modo, in sostanza, per far lavorare di più i dipendenti creando profitti maggiori per le aziende in cambio di un tozzo di pane in più ai lavoratori), indebolimento della contrattazione sindacale, promozione di grandi, costose e inutili opere pubbliche (rigorosamente concesse in appalto ai privati); ulteriore irrigidimento sul fronte dell’immigrazione (vedi pacchetto sicurezza: altro favore alle imprese che assumono immigrati con salari da fame, col ricatto del permesso di soggiorno); attacchi ai diritti sociali: delle donne, delle coppie di fatto, degli omosessuali.
A parte il programma, è pericoloso il modello di (non) partecipazione alla politica che il PD coscientemente persegue: un modello all’americana, dove gli elettori sono chiamati a ratificare ma non a giudicare e scegliere, non contano i militanti ma gli sponsor, le decisioni e i programmi non vengono elaborati dalla base ma dalle lobby. Non è un sistema democratico, è il modo migliore per foraggiare una casta senza più nessun collegamento con l’elettorato, ma soltanto (e direttamente) con i finanziatori.
Insomma, non c’è nessun caso nell’universo che possa convincermi a votare per il Partito Democratico, a meno che non compaia al mio fianco, in cabina elettorale, Caprica Six a “persuadermi”.
“Né con Veltroni, né con Berlusconi: per una sinistra di opposizione”. Quale alternativa dunque? A sinistra del PD ci sono, oltre alla Sinistra e Arcobaleno, due micro-partiti: Sinistra Critica e Partito Comunista dei Lavoratori. Guarda caso, sono originati da due scissioni più o meno recenti da Rifondazione Comunista, e – mi sbilancio in un giudizio, la storia decreterà se ho ragione o torto – tra tutti e due prenderanno circa l’1%. Non ha molto senso approfondire i programmi di questi due partitini, che sono peraltro (e giustamente) molto simili tra loro: propongono senza dubbio idee in larga parte condivisibili, come la nazionalizzazione delle grandi imprese, l’azzeramento delle missioni militari, etc. Il problema qui è un altro: per l’atteggiamento che hanno sia reciprocamente, sia con il resto della sinistra, questi partitini si sono sempre (anche prima di uscire da Rifondazione) dimostrati niente più che delle sette. Sono cioè del tutto incapaci di comunicare non tanto con i vertici delle altre organizzazioni di sinistra, quanto – ed è ovviamente molto più grave – con la loro base. Anche se prendessero il triplo di quanto prenderanno, questo non risolverebbe il loro difetto principale, e cioè l’isolamento da tutti quelli che non li sostengono. E’ la loro assoluta incapacità, ad esempio, di proporre un fronte unico con elettori e militanti delle altre organizzazioni di sinistra, che mi convince della totale inutilità di votare queste forze.
Senza considerare, peraltro, l’ipocrisia dei leader dei due partiti: uno, Turigliatto di SC, prima di fare la piazzata e uscirsene in malo modo da Rifondazione, ha votato una dozzina di fiducie al governo Prodi che tanto (e anche qui, giustamente) criticava. Allora, o fai il duro e puro e non ti fai neppure eleggere (come sarebbe stato più corretto), o sei talmente pirla da non renderti conto prima che andare al governo con la borghesia renderà inevitabili “compromessi” di questo tipo, oppure (ed è questo il caso) sei in malafede. L’altro, Ferrando di PCL, si avviava sulla stessa strada di Turigliatto; è stato però espulso da Rifondazione prima ancora di essere eletto senatore, e infatti ha avuto i suoi problemi per poter presentare il proprio simbolo alle elezioni: non avendo parlamentari nella precedente legislatura, avrebbe infatti dovuto raccogliere 5.000 firme in ogni circoscrizione in cui intendeva presentarsi. Fortunatamente ha risolto i suoi problemi ottenendo la firma di un parlamentare dei Verdi (e fin qui nulla di male o quasi) e di un altro, tale Giorgio Carta, già presidente del PSDI, oggi alleato con l’UDC, e membro della P2… niente male eh?
Quanto alla Sinistra e Arcobaleno, certamente i suoi leader non sono complessivamente migliori, e il suo programma è invece certamente peggiore sotto molti aspetti di quello delle sette (“Arrivano i Dianetici, e pescano i babbioni / i Testimoni, ne pescano a milioni: sono le sette!“). Sono fortemente contrario poi all’alleanza strategica con Sinistra Democratica e Verdi, molto più simili al PD che a Rifondazione (e infatti molti se ne stanno tornando all’ovile).
Il punto cruciale però è che è l’unica formazione con un minimo di consistenza che possa, all’opposizione in cui è stata relegata da Veltroni, raccogliere il malcontento che provocheranno gli inevitabili attacchi del prossimo governo – chiunque vinca – ai lavoratori e in generale ai ceti più deboli. Non è detto che riuscirà a ricoprire questo ruolo, e non è detto neppure che vorrà farlo: ma in questo momento c’è uno spazio, nella base di Rifondazione, per costruire un’opposizione vera e credibile a Veltrusconi, e il potenziale sociale è enorme, come dimostrano anche le mobilitazioni contro il rivoltante Ferrara nei giorni scorsi al solo toccare il diritto di aborto.
Per questo, anche se non è forse il massimo della vita, voterò Sinistra e Arcobaleno: per dare una chance all’unica forza politica di sinistra che ha qualche possibilità di sfruttarla.
Del resto, in mancanza di meglio, l’astensionismo non è certo un’alternativa. L’argomentazione principale degli astensionisti di sinistra (le argomentazioni degli astensionisti qualunquisti non mi interessano) è che non votare può dare un segnale ai partiti che è necessaria una svolta, se vogliono riavere il loro voto. Ma la verità è che, tutto sommato, del loro voto questi ne fanno a meno senza perderci il sonno. Non votare alimenta anzi un processo che è già in corso, una trasformazione che i leader di alcuni partiti di sinistra, Rifondazione in primis, cercano di portare avanti da anni: da un partito di militanti a un partito d’opinione. Ora, sarà un caso, ma i partiti d’opinione hanno opinioni tipicamente più moderate dei partiti di militanti. Sarà un caso? In realtà no: il motivo è che il gruppo dirigente di un partito senza militanti può prendere qualsiasi posizione senza doverne rendere conto a una base che, normalmente, è più radicale. In altre parole, il problema di Rifondazione è che c’è troppo poca partecipazione, e questo consente ai vertici di decidere la linea politica, programmatica ed elettorale, senza curarsi poi molto di consultare preventivamente la base: è per questo che, negli ultimi anni, le principali decisioni sono state spesso prese e comunicate dai leader direttamente dalle colonne di Liberazione, quando non addirittura del Corriere della Sera o a Porta a Porta. Per contrastare questo processo, sicuramente antidemocratico e rovinoso probabilmente anche nel breve periodo, è necessario non solo andare a votare, ma soprattutto partecipare, iscriversi ai partiti, dare un contributo di idee.
Ho sproloquiato fin troppo. Buon voto a tutti!
buon voto????????????? ‘nzomma…! anche io voto SA ma sono mica contenta.