Da un paio d’anni utilizzo Google Alert per avere quotidianamente una rassegna degli articoli sul Venezuela pubblicati su internet. In certi periodi non c’è nulla o quasi, ma nell’ultima decina di giorni i link sono stati circa un centinaio. Uno di questi riguardava Aida Yespica, una decina erano sui mondiali di calcio under-qualcosa che si sono tenuti laggiù, tutti gli altri commentavano il referendum per la riforma costituzionale che si è tenuto la scorsa domenica 15 febbraio.
Restringendo il campo a questi ultimi, non esagero dicendo che 9 su 10 riportavano la notizia con variazioni sul seguente tema: “Approvato il referendum, Chavez presidente a vita”. Non pochi articoli parlavano apertamente di una dittatura che sarebbe stata instaurata con la vittoria referendaria, e anche siti “rispettabili” come quelli del Corriere, del Sole24Ore e di Repubblica scrivevano che “Hugo Chavez dovrebbe vincere il referendum che gli consentirà di restare presidente a vita”.
Per giorni, i lettori di queste (e molte altre) testate sono stati bersagliati da un vero e proprio lavaggio del cervello, così efficace che in una mailing list una simpatizzante di Rifondazione Comunista si è detta convinta che il tema del referendum fosse davvero “Chavez presidente a vita”. Il quesito referendario invece era questo:
“Lei approva l’emendamento degli articoli 160, 162, 174, 192 e 230 della Costituzione della Repubblica, adottati dall’Assemblea Nazionale, che accresce i diritti politici del popolo, con il fine di permettere a qualsiasi cittadino o cittadina in esercizio di un carico di elezione popolare, di potersi postulare come candidato o candidata per lo stesso carico, per il tempo stabilito costituzionalmente, dipendendo la sua possibile elezione esclusivamente dal voto popolare?”
Semplice ignoranza dei giornalisti, o chirurgica malafede? Propenderei per la seconda ipotesi, ricordando come da anni i giornali italiani facciano abbiano un atteggiamento alquanto selettivo nei confronti della politica venezuelana: pressoché nullo rilievo a manifestazioni oceaniche, anche con più di un milione di partecipanti, quando sono a favore di Chavez; riflettori puntati su manifestazioni di poche centinaia di persone, invece, quando sono contro il governo; sistematica distorsione delle riforme approvate o eseguite, quando non possono essere sottaciute. Emblematico fu, ormai quasi due anni fa, il caso del mancato rinnovo della concessione delle frequenze di trasmissione a un canale televisivo che incitava apertamente al golpe, presieduto da un imprenditore che del golpe del 2002 era stato protagonista: in Italia (ma anche nel resto d’Europa) il provvedimento venne condannato come un atto liberticida, che metteva il bavaglio all’informazione indipendente e violava perfino i diritti dei lavoratori. Una replica a quelle accuse del tutto infondate, scritta all’epoca, è nelle pagine interne di questo sito, sotto la voce “politica”.
Da che pulpito venivano poi quelle accuse! Dal Paese in cui il Presidente del Consiglio possiede circa metà dei mezzi di informazione, dalle colonne di quegli stessi giornali che del conflitto di interessi avevano fatto la loro bandiera!
E la stessa cosa succede anche stavolta, se proprio vogliamo guardare con un po’ di attenzione. Perché in una Repubblica presidenziale, come il Venezuela, il Presidente ha più o meno le stesse attribuzioni che la nostra Costituzione attribuisce al Presidente del Consiglio. E mi pare che in Italia ci siano stati sette governi presieduti da Andreotti, il quale (mi rivela Wikipedia) è stato anche otto volte Ministro della Difesa, cinque volte Ministro degli Esteri, tre volte Ministro delle Partecipazioni statali, due volte Ministro delle Finanze, due volte Ministro del Bilancio, due volte Ministro dell’Industria, una volta Ministro del Tesoro, una volta Ministro dell’Interno, una volta Ministro dei Beni culturali, una volta Ministro delle Politiche comunitarie. Il tutto senza che questa carica venisse conferita da un’elezione diretta, e senza che nessun cittadino potesse mai di fatto metterla in discussione. Lo stesso Berusconi è alla terza Presidenza del Consiglio.
Se poi cerchiamo un confronto più omogeneo prendendo ad esempio un’altra Repubblica presidenziale, notiamo come la carica di Presidente della Repubblica in Francia, con attribuzioni del tutto analoghe a quelle del Venezuela, possa essere ricoperta senza alcun limite al numero di mandati.
Semmai, la Costituzione venezuelana prevede un meccanismo di controllo sconosciuto a tutte le democrazie europee, ossia il referendum revocatorio a metà del mandato per tutte le più alte cariche pubbliche: quel referendum che Chavez ha vinto con quasi il 60% dei consensi, e oltre 5 milioni e mezzo di voti, nel 2004.
C’è da chiedersi come mai la stampa europea, e quella italiana in particolare, portino avanti questa campagna mirata in modo evidente a screditare presso l’opinione pubblica la figura e le politiche di Chavez in Venezuela: “Che gliene frega?”
Il fatto è che il modello politico venezuelano è pericoloso. Pericoloso perché esprime l’idea che sia possibile per i lavoratori di un’azienda cacciare il proprio padrone che vorrebbe chiuderla e spostare i macchinari, e gestire in proprio la produzione. Pericoloso perché pone la questione di una via d’uscita dalla crisi economica che non ricada sulle spalle dei lavoratori. Pericolosissimo, perché a poco a poco queste idee cominciano ad attecchire anche qui: vedere quanto accade in questi giorni alla INNSE di Milano e alla FIAT di Pomigliano. Quel modello va spogliato di qualsiasi credibilità: Chavez deve essere un dittatore, perché le leggi che consentono l’occupazione delle fabbriche chiuse dai proprietari devono essere cattive e liberticide.
Con tutto questo, non voglio certo affermare che sia tutto rose e fiori in Venezuela: contraddizioni e limiti del processo non mancano, ma non risiedono nella persona di Chavez, ma semmai nel settore più moderato della burocrazia chavista. Un buon approfondimento sul tema è qui.
Altro che Veltroni, avercelo un Chavez in Italia! Cari compagni venezuelani, “Vuje facite nu forfait, ma dateci a Chavez!”