Al di là del dolore e della gara di solidarietà per rendere i soccorsi più pronti ed efficaci possibile, tra le macerie di L’Aquila rimane per me soprattutto il senso di disgusto per l’ipocrisia di quanti oggi vanno ad abbracciare le vittime, ma ancora ieri – e sicuramente domani – firmavano condoni edilizi, eludevano controlli e verifiche di conformità, costruivano palazzi di cartone invece che di cemento.
Stamattina ho sentito alla radio che due anni fa, dopo che vi si erano avvertite scosse sismiche, i controlli effettuati su centinaia di edifici pubblici in Sicilia avevano rilevato che in una certa scuola, a Catania, il cemento dei muri si sfaldava con la sola pressione delle dita. Quella scuola è ancora in piedi. Fino alla prossima scossa. Un docente di scienza delle costruzioni spiegava come le scosse dei giorni scorsi in Abruzzo, per quanto violente, non sarebbero state certo irresistibili se gli edifici fossero stati a norma: norme che esistono e fissano standard di sicurezza almeno dai primi anni Settanta.
E allora è sempre la stessa storia, che ci viene servita a colazione pranzo e cena: la sicurezza e la vita delle persone sono considerate un costo, sul quale risparmiare il più possibile oggi, senza tenere conto delle conseguenze di domani.
E allora non basta la patina di unità nazionale per ricacciarmi dentro la rabbia e l’odio per questa classe di assassini e per il governo che li rappresenta, la stessa rabbia e lo stesso odio suscitato dalla “riforma” del Testo Unico sulla sicurezza.
Qualcuno però ha espresso questa rabbia e questo disgusto meglio di quanto io sono capace, e con il suo consenso trascrivo qui sotto la sua scheggia tagliente. Approfitto anche per ringraziarla, Alessandra Daniele, che attualmente è una delle mie scrittrici preferite.
Macerie
di Alessandra Daniele
In Abruzzo più di un centinaio di morti, e decine di migliaia di senzatetto.
In Parlamento il solito accordo bipartisan: ”questo non è il momento delle polemiche”.
Certo, sarebbe assurdo parlare di norme antisismiche dopo un sisma.
Parliamo di norme antiforfora.
Poi magari diamo fuoco anche alle baraccopoli degli abruzzesi sfollati come facciamo con quelle dei rom.
Questo non è il momento di parlare di speculazione edilizia, incuria, ecomafia, corruzione, per riflettere su quanto sia appropriata la definizione “condono tombale”.
È il momento di dare al governo la possibilità di sfruttare la tragedia come ennesimo spot “sociale” per le elezioni europee.
Qualcosa tipo la strappona sdraiata sulla monnezza che ringrazia il governo di avere “ripulito Napoli”, ma più in grande, e a reti semi-unificate.
I pezzi grossi da Vespa, il gran sacerdote del Cordoglio Controllato, l’imbalsamatore capo d’ogni tragedia da mummificare nella retorica istituzionale.
Gli sfigati al tavolo tondo da seduta spiritica di Lerner e Gruber, accanto all’inquietante materializzazione dell’ectoplasma di Zamberletti.
Questo non è il momento di dare la colpa ai colpevoli, di attribuire le responsabilità ai responsabili.
È il momento di intervistare gli esperti, e domandargli basiti e increduli come sia possibile aspettarsi un terremoto in un paese che da sempre trema come un parkinsoniano all’ultimo stadio.
Ci faranno una puntata di Voyager. Lo chiederanno a Titor, alla setta dei Cugini di Satana, al sagrestano di Rennes-le-Château: com’è possibile aspettarsi un sisma in zona sismica?..
Questo non è il momento di chiedere conto a chi costruisce palazzi con lo zucchero a velo al posto del cemento, sarebbe indelicato verso chi sotto le macerie di quei palazzi c’è morto.
Il loro ultimo desiderio è stato di certo un accordo bipartisan in Parlamento che evitasse le polemiche.
Questo è il momento di ravanare tra le macerie delle vite altrui, a caccia di reperti strappalacrime da esibire alle telecamere, e poi accusare di sciacallaggio chi quelle vite le avrebbe volute salvare.
Questo è il momento di pregustare il business per la ricostruzione, condito dalla deregulation del nuovo piano casa.
È il momento di preparare il prossimo condono tombale.
Rido per non piangere…