Se si facesse una classifica delle serie di fantascienza in cui il divario tra primo episodio e capitoli successivi è più ampio, Terminator avrebbe buone possibilità di piazzarsi primo.
Il primo film aveva idee originali e interessanti, tanto che sarebbero state riprese dalla fantascienza più o meno “leggera” successiva: il cyborg come protagonista, il viaggio nel tempo, la guerra uomo-macchine autocoscienti che ha fatto la fortuna di Matrix. Certo, il germe della cazzata era presente: un espediente come il viaggio nel tempo, se non è accuratamente tenuto sotto controllo, rischia di sfuggire al suo creatore e togliere credibilità e coerenza a qualsiasi trama.
In Terminator 2 – Il giorno del giudizio il rischio cominciava a concretizzarsi: come era possibile che John Connor nel 2029 mandasse un terminator buono a proteggere se stesso da ragazzo dal terminator cattivo? E non avrebbero potuto le macchine mandare un terminator a far fuori il ragazzo quando era in culla, o ad ammazzarne la madre prima ancora che restasse incinta? Ma questi e altri paradossi passavano in secondo piano davanti a uno dei film più spettacolari dell’epoca, dotato per giunta di dialoghi vivaci e divertenti, specie nelle parti in cui il giovane John Connor insegnava al terminator come essere umano.
A questo punto ci si sarebbe dovuti fermare. Questo avrebbe voluto il regista dei primi due film, James Cameron, e l’attrice che interpretava Sarah Connor, Linda Hamilton. Entrambi infatti si rifiutarono di prendere parte alla creazione di una mostruosità senza precedenti chiamata Terminator 3 – Le macchine ribelli. Per vendetta, gli sceneggiatori condannarono Sarah Connor a morire di leucemia. Il calcolo della produzione era che una generazione di nerd cresciuti con i primi due Terminator non sarebbe riuscita a non andare al cinema, nonostante fosse fin troppo manifesto che il terzo capitolo sarebbe stato un vaccata colossale, e che la generazione più fresca non avrebbe subodorato l’inganno così facilmente. Avevano ragione: ricordo che andai al cinema di domenica pomeriggio, circondato da adolescenti scalmanati il cui principale commento era “va’ che figa la terminator“. E in effetti, era quella senz’altro la migliore qualità del film, che per il resto rimane negli annali come uno dei peggiori della storia.
Peggio non era proprio possibile fare, e infatti Terminator Salvation è sotto molti aspetti un film migliore del precedente. Protagonista è l’ottimo Christian Bale, e nel cast figura perfino Helena Bonham Carter, che presumo si sia fatta pagare miliardi per una scena di 3 minuti. Anton Yelchin, già “apprezzato” nella caricatura di Pavel Chekov nel film di Star Trek, è Kyle Reese, il padre di Connor che all’epoca della narrazione ha diversi anni meno del figlio.
Per la prima volta, dopo che per venticinque anni ci hanno asciugato con oscuri racconti di Skynet e della Resistenza, vediamo la guerra con i nostri occhi. Niente che non ci si aspettasse, intendiamoci: colori morti, deserti e rovine ovunque. Sembra Caprica dopo l’olocausto nucleare. Sembra così tanto Caprica dopo l’olocausto nucleare, che sull’insegna del fabbricato in cui facciamo la conoscenza di Kyle Reese, nella Los Angeles rasa al suolo, mi sembra si possa leggere di sfuggita la parola “CYLON”.
Del resto Battlestar Galactica, più che Blade Runner, pare il modello di riferimento per parecchie idee del film, a cominciare ovviamente dal concetto base del cyborg con tessuto umano che non sa di essere cyborg. C’è da considerare che sul tema della macchina autocosciente e dell’ibrido uomo-macchina è stato ormai detto e filmato tutto quel che c’era da dire e filmare: dove ti giri, citi più o meno alla lettera qualcosa. Tra i tanti “qualcosa” sembra di scorgere perfino la presenza del Dottore – i prigionieri in attesa di essere convertiti in Cybermen (“you must be upgraded”) – nelle file di umani catturati e in attesa di essere “riutilizzati” da Skynet per la creazione degli ibridi.
Senza più l’artificio del viaggio nel tempo (per fortuna!) rimane un discreto film di azione, senza colpi di scena clamorosi ma con una trama decente. Certo, nulla di paragonabile ai primi due, di cui mancano soprattutto la varietà dei toni e la (già non eccelsa) vivacità dei dialoghi. Qui il registro è totalmente monocorde, salvo il breve momento di entusiasmo alla comparsa del prototipo T-800 nudo con le sembianze di Schwarzenegger (ma sono solo le sembianze, è tutto computer), e nessuna frase passerà alla storia come il celebre “Hasta la vista, baby“. Mi piacerebbe pensare che gli sceneggiatori l’abbiano fatto di proposito, della serie “ora basta cazzeggiare, c’è una guerra da combattere”. Ma temo invece che sia semplicemente uscito così.
Alla fine, per confortare improbabili spettatori ansiosi di rivedere John Connor e le sue avventure, ci si annuncia l’esistenza di un seguito. Anzi due, come va di moda ultimamente. D’altra parte i tempi sono questi, ci si deve accontentare.
Grazie per avermi finalmente fatto capire il senso del termine inglese “colossal”. E’ un’abbreviazione di “colossal horseshit”!
Purtroppo Terminator è come le canne, non da’ dipendenza, ma se te ne passano una è difficile non cadere in tentazione…
😀
D,
🙂