La mattina del mio primo giorno in Basilicata, Pietro mi porta ad Atella, un paese a una ventina di chilometri da Lagopesole. Qui, del tutto invisibile a chiunque già non sappia della sua esistenza, vi è un sito di scavi paleontologici e paleoantropologici. Il professor Edoardo Borzatti von Löwenstern di Firenze, in tenuta da Indiana Jones, ci racconta di persona lo stato delle ricerche: più di 500.000 anni fa in quei luoghi, sulle rive di un lago da tempo prosciugato, uomini scesi dagli alberi da solo qualche centinaio di migliaia di anni andavano a caccia di elefanti dotati di zanne enormi. Le zanne ci sono ancora, e potete vederle qui, insieme alle altre foto della giornata. Altrettanto interessante è il racconto delle vicissitudini sopportate in oltre vent’anni di lavoro ad Atella, nel più totale disinteresse delle istituzioni locali: non ci sono più gli elefanti da combattere, ma i maiali portati al pascolo proprio lì sotto da un porcaro che non chiede altro che un posto di lavoro al Comune per cambiare mestiere. Incredibile come Borzatti, cappello a larghe tese e divisa da esploratore, riesca a sorridere di tutte queste disavventure davvero poco emozionanti.
Il piano per il pomeriggio è andare a Castelmezzano, ma un nubifragio si frappone tra noi e il Volo dell’angelo subito dopo la partenza: dal finestrino aperto in macchina entrano pallottole di ghiaccio, e a fatica riusciamo a evitare una vera e propria frana. Troppo tardi penso di fare un filmato da mandare a Real TV, ma stranamente Pietro si rifiuta di tornare indietro… Ecco comunque il video girato dall’interno della macchina, proprio dopo che il peggio era passato:
Scatta il piano B: inseguiti dalle nuvole, facciamo rotta su Melfi. Durante il suo regno, Federico II di Svevia, lo Stupor Mundi, ha disseminato la Lucania di castelli, in parte riadattando quelli normanni: a Melfi ce n’è uno, più grande di quello di Lagopesole. E questo è quanto sono in grado di dire sul castello di Melfi, dal momento che dalla biglietteria veniamo cacciati in malo modo quando diciamo di non essere interessati al museo, ma soltanto alla visita dall’esterno. Anche le fotografie non sono un granché, quando avrò tempo dovrò photoshoppare via le auto parcheggiate fin quasi sul ponte levatoio: come non valorizzare un monumento. Una ragazza esce dal museo parlando al cellulare: “No, mo’ vado, non valeva proprio la pena, dentro non c’è niente“. Senza grossi rimpianti ce ne andiamo verso la Cattedrale.
Come si nota nelle fotografie, la città è piena di vecchi. Il più vecchio di tutti sta dietro l’altare della chiesa, e si chiama San Teodoro: il suo scheletro rivestito di costumi imperiali è esposto con dubbio gusto in una teca che si illumina dietro il versamento di un obolo. Per me, che nel dubbio gusto ci sguazzo, è un euro ben speso.
Mentre le nuvole ci raggiungono, ci spostiamo a Venosa, secondo tradizione città natale di Orazio. Anche qui, un castello federiciano assediato da automobili, ma con una bigliettaia più cortese che ci spiega come l’altro importante monumento della città, l’Incompiuta, sia aperto soltanto la mattina per carenza di personale. Sconcertati, ci mettiamo alla ricerca della casa di Orazio: a prescindere dall’esattezza della tradizione, meriterebbe qualche indicazione in più, oltre alle citazioni oraziane sparse per la città (che mi ricordano quanto tempo è passato dall’ultima volta che ho preso in mano un libro di Latino).
Al ritorno, c’è tempo per ammirare da lontano il castello di Lagopesole, al tramonto. Il paesaggio è spettacolare, molto più di chi dovrebbe proteggerlo, gestirlo e farlo conoscere.