Ancora scottato per aver perso il film dei G.I. Joe, ieri sera mi sono precipitato a vedere l’ultimo di Quentin Tarantino, Bastardi senza gloria. La cosa buffa del fatto di avere due cinema in tutta Pavia è che il primo lunedì (il giorno del prezzo ridotto) dopo l’uscita di un film di cartello, un terzo della sala è composto da gente che conosci per nome: è un po’ come trovarsi a casa di qualcuno, solo più grande e con il biglietto all’ingresso.
Ora, in attesa di apprendere da Teo se mi deve piacere o no, provo a riordinare quassù le mie idee da spettatore non qualificato.
A prescindere dalle facili critiche seguite agli ancora più facili allori, a me Quentin Tarantino piace. Non sempre ho apprezzato le storie che racconta, e senza dubbio non mi entusiasma l’esilità (fino all’assenza) dei contenuti nella maggior parte dei suoi lavori. Se invece di girare film scrivesse romanzi, lo detesterei. Personalmente però, a differenza che nei libri, nei film ammiro la forma tanto quanto la sostanza, e tendo a considerare i due aspetti separatamente: la piacevolezza delle immagini che scorrono sullo schermo, per me, vale a prescindere dalla profondità della riflessione che ispirano.
Bastardi senza gloria, come la maggior parte dei film di Tarantino, appartiene proprio alla categoria di film che significano davvero poco, ma sono straordinariamente piacevoli da vedere. Seguono, sia pure non decisivi
SPOILER
La trama è presto raccontata. Nella Francia occupata dai nazisti si intrecciano due vicende: da un lato quella di Shoshanna (Mélanie Laurent), giovane e graziosa ebrea sfuggita miracolosamente al massacro della famiglia, che trova rifugio a Parigi dove diviene proprietaria di una sala cinematografica. Dall’altro lato, quella dei Bastardi, una squadra speciale di soldati ebrei al comando del tenente Aldo Raine (Brad Pitt), spediti dietro le linee nemiche con l’unico obiettivo di trucidare quanti più nazisti possibile, senza alcuna pietà: più che Bastardi senza gloria, insomma, una squadra di Pazzi senza cuore.
Le due storie sono destinate a incrociarsi, senza peraltro interferire l’una con l’altra, alla proiezione della prima del nuovo film voluto da Goebbels sulle prodezze di un cecchino nazista: guarda caso, proprio nella sala di Shoshanna.
E il cinema, pur senza voler approfondire più di tanto la tematica del metacinema, finisce per essere il vero protagonista della storia, al centro di tutte le trame e risolutore di tutti gli intrecci. Il cinema che realizza la vendetta di Shoshanna e di tutti gli ebrei, e pone addirittura fine alla guerra. Dal punto di vista puramente estetico, la scena del rogo nella sala, provocato dando fuoco alle vecchie pellicole, e l’annessa carneficina, con l’immagine di Shoshanna – ormai morta – che annuncia sullo schermo in fiamme la morte imminente di tutti gli spettatori, è un autentico capolavoro.
Non mancano le scene pulp, come da tradizione, e a soddisfare le attese di tutto il pubblico, con tanto di rimandi ai primi film tarantiniani – la disquisizione se possa considerarsi uno “stallo alla messicana” la situazione in cui si trovano Aldo Raine e il sergente Wilhelm nella taverna. E c’è anche il doveroso omaggio a Chaplin, autore della prima favolosa parodia del regime nazista: il F’ührer di Tarantino somiglia straordinariamente al suo Grande Dittatore.
Mentre Chaplin faceva terminare la guerra (da poco iniziata nella realtà) con un commovente messaggio di pace e fratellanza universale, Tarantino la conclude con il tradimento ben poco eroico del Colonnello delle SS Hans Landa (Christoph Waltz), già “Cacciatore di Ebrei”, e il messaggio poco originale, ma probabilmente più verosimile, che i vincitori sono forse meno malvagi, ma probabilmente altrettanto bastardi degli sconfitti.
Alla fine la sala (quella vera, non quella carbonizzata) applaude.
Uhm, l’analisi di Mauro è differente, mi pare. A questo punto lo devo proprio vedere, per capire chi ha ragione!
ATTENZIONE SPOILER!!
Mauro ha scritto: “Che fra un fiotto di sangue e l’altro mi si
dica che di fronte alla tirannia razzista non bisogna aspettare il D-Day
o studiare i cavilli del codice di guerra, ma raccogliere i più
incazzati tra gli oppressi e perseguitati e massacrare i tiranni
“ingloriosamente”, marchiando a sangue i pochi risparmiati perché non ce
ne si dimentichi mai, a me non dispiace affatto”
In parte leggendo il suo commento ho rivalutato alcuni aspetti del film. Secondo me però c’è un po’ di sovra-interpretazione. Il messaggio è molto sfumato e annacquato, la violenza e l’autocompiacimento estetico sono talmente pervasivi da farlo perdere di vista per gran parte del film. Insomma, secondo me l’opera è concepita e finalizzata molto di più a piacere e divertire che non a far riflettere. Il messaggio alla fine è: “i nazisti sono stronzi e se la meritano”: è senza dubbio un messaggio che condivido, ma non mi pare si vada molto più in là. Dal punto di vista ideologico, molto meglio Fuga per la vittoria, dove i nazisti vengono sconfitti dall’azione delle masse, e non dal terrorismo individuale… 😀
Non mi dilungo anche per evitare ulteriori spoiler. Fammi sapere che ne pensi dopo che l’avrai visto!