Da Wikipedia: “Giobbe, servo di Dio, viveva ricco e felice. Dio permise a Satana di tentarlo per vedere se fosse rimasto fedele anche nella cattiva sorte. Colpito prima nei beni e poi nei figli, Giobbe accetta che Dio si riprenda quel che gli aveva dato. Ammalatosi di una malattia ripugnante e dolorosa, Giobbe rimane sottomesso e respinge la moglie che gli consiglia di maledire Dio. Allora tre suoi amici, Elifaz, Bildad e Zofar vengono a compiangerlo. Giobbe e gli amici confrontano le loro concezioni riguardo alla giustizia divina. Elifaz parla con la moderazione che l’età gli ispira; Zofar segue gli impulsi della sua giovane età, mentre Bildad è un sentenzioso che si tiene su una linea media. Tutti e tre, però, difendono la tesi tradizionale secondo la quale se Giobbe soffre significa che ha peccato. Ma alle loro considerazioni teoriche Giobbe contrappone la propria esperienza dolorosa e le ingiustizie di cui il mondo è pieno. Il libro si conclude con un epilogo in prosa: Jahve rimprovera i tre interlocutori di Giobbe e rende a quest’ultimo, moltiplicandoglieli enormemente, i beni che prima dell’accaduto possedeva. Gli dona nuovi figli e figlie, queste in particolare di bellissimo aspetto“.
[Di seguito la trama del film, con alcuni SPOILER]
A Serious Man, l’ultimo film dei fratelli Coen, riprende questa vicenda biblica per trasportarla negli Stati Uniti degli Anni 60 (dopo una breve tappa iniziale nella Polonia dell’Ottocento).
Larry Gopnik (che somiglia soltanto al Leonard di The Big Bang Theory, ma non è lui!), a differenza di Giobbe, non viveva ricco e felice. Al contrario, corrispondeva esattamente allo stereotipo dell’Uomo Medio, simboleggiato dalla villetta con giardino in un quartiere di villette col giardino tutte uguali, a perdita d’occhio, nella più classica delle periferie residenziali americane.
Ma non c’è bisogno di condurre un’esistenza perfetta perché un’improvvisa serie di sciagure possa sconvolgerla. Così di punto in bianco, senza un motivo (“Io non ho fatto niente!”) vanno in fumo tutte le certezze del povero Larry: la moglie gli chiede il divorzio per risposarsi con l’inquietante Sy Ableman, il collegio docenti sembra negargli il passaggio di ruolo, il fratello sociopatico viene arrestato per il gioco d’azzardo.
È un incubo, come quelli che sempre più frequentemente popolano le notti del protagonista: uno di quegli incubi in cui sei rinchiuso in un labirinto e ogni volta che apri una porta trovi solo un altro muro. Larry si rivolge a chiunque possa aiutarlo: consulta tre rabbini uno più inconcludente dell’altro, che gli parlano di parcheggi (il rabbino giovane, il mitico Howard Wolowitz, lui sì di The Big Bang Theory!), dei “denti del non-ebreo”, o si rifiutano del tutto di riceverlo; non ottiene alcun aiuto, ma solo parcelle esose e ulteriori beffe del destino, neppure dagli avvocati. Non gli resta che sbattere la testa al muro e ripetersi “Io non ho fatto niente!”
La bravura dei Coen sta nella loro straordinaria capacità di far vivere quest’incubo agli spettatori con impressionante familiarità: ne risulta un film volutamente cupo e inquietante, in cui è facile immedesimarsi e farsi coinvolgere, al di là della vena di umorismo e di parodia dei costumi ebraici che pervade tutto il racconto.
Il finale, con un’accelerazione vertiginosa e improvvisa, non si può svelare. Ma che cosa sarebbe successo se Giobbe avesse ceduto alla tentazione di rinnegare Dio, di fronte a tante sventure?