Mercoledì 17 febbraio, ore 19, Osteria Sottovento: esce il terzo numero di Bonarda e lo festeggiamo con un aperitivo di auto-finanziamento a cui invito tutti quelli che possono a partecipare, per un sacco di buone ragioni:
1. avere una copia ancora calda di rotativa del terzo numero di Bonarda, a mio modesto parere il migliore fin qui pubblicato per ricchezza e qualità;
2. c’è una festa!
3. dandoci qualche spicciolo per le cibarie, darci una mano a far uscire il giornale, che è completamente auto-finanziato: Bonarda è gratuito per chi lo legge, ma non per chi lo scrive!
Insieme al collega Avvocato Blazer (che per la verità ha fatto il grosso del lavoro) l’Avvocato Laser, sponsor ufficiale di Bonarda, ha contribuito con questo articolo sull’epilogo del caso-Gariboldi, che potete leggere qui in anteprima.
LA GARIBOLDI LIBERATA … CON LA CONDIZIONALE
Il 12 gennaio, dopo quasi tre mesi di carcerazione preventiva, Rosanna Gariboldi, moglie del deputato PdL Giancarlo Abelli, ha patteggiato una pena a due anni di reclusione ed è stata scarcerata. Come raccontato nello scorso numero di Bonarda, Lady Abelli era reclusa in stato di custodia cautelare nel carcere di S. Vittore dal 20 ottobre: secondo i PM di Milano, Laura Pedio e Gaetano Ruta, l’ex assessore provinciale avrebbe riciclato, su un suo conto corrente a Montecarlo, denaro proveniente da fondi neri accumulati da Giuseppe Grossi, imprenditore nel campo ambientale.
Le dichiarazioni rilasciate da Lady Abelli immediatamente dopo essere stata rimessa in libertà hanno un che di paradossale: la Gariboldi si è dichiarata innocente e vittima di un’ingiustizia. Non è chiaro se questa sua convinzione sia maturata prima o dopo la telefonata ricevuta da Silvio Berlusconi, di certo i toni e le accuse contro la magistratura accomunano i due soggetti.
Senza entrare troppo nel tecnico, è necessario spiegare la vicenda processuale che ha visto coinvolta Lady Abelli indagata per riciclaggio. Iniziando dalla fine, la Gariboldi ha deciso di ricorrere a un patteggiamento, ha chiesto cioè al giudice per le indagini preliminari di Milano, Anna Maria Zamagni, che le venisse applicata la pena a due anni di reclusione. Ecco il primo dubbio: ma quale persona convinta di essere innocente chiede di essere condannata a due anni di carcere? In ogni caso, si deve ricordare che, nonostante la richiesta di patteggiamento, il giudice ha l’obbligo di valutare tutto il materiale probatorio e, nel caso risulti che l’imputato non abbia commesso il fatto, deve assolverlo. È evidente che l’innocenza proclamata dalla stessa Gariboldi è sfuggita al giudice oppure, più verosimilmente, le carte processuali facevano emergere ben altro.
Il reato per cui l’ex assessore provinciale era stata indagata è il riciclaggio: secondo l’accusa, la Gariboldi era colpevole di aver trasferito, sostituito o compiuto altre operazioni finanziarie su denaro proveniente da un altro delitto non colposo. Per il reato di riciclaggio il nostro codice penale prevede una pena detentiva fra quattro e dodici anni di reclusione: di certo non si tratta di un reato di lieve entità. Alla Gariboldi sono state riconosciute, in virtù della sua disponibilità a collaborare, le attenuanti generiche: ciò significa che alla pena individuata per concreta gravità del delitto commesso, quattro anni e sei mesi, è stato tolto un terzo. Si arriva così a tre anni, a cui è stato tolto un ulteriore terzo per la scelta del rito del patteggiamento (uno sconto per aver scelto di non fare il processo) giungendo così alla pena finale di due anni di reclusione. La pena, inoltre, è stata condizionalmente sospesa. Cosa significa tale espressione? Semplicemente, nel nostro ordinamento esiste l’istituto “premiale” della sospensione condizionale della pena, per cui il giudice quando condanna (è proprio il termine usato dal codice penale) ad una pena non superiore a due anni può, se ritiene che il colpevole si asterrà dal commettere altri delitti, sospendere la condanna per un periodo di cinque anni. Decorso tale lasso di tempo senza che il beneficiario commetta altri delitti, il reato per cui vi è stata condanna si estingue. Per cinque anni, dunque, Lady Abelli dovrà fare attenzione ai suoi comportamenti, altrimenti rischierà la revoca della sospensione condizionale della pena, istituto che le è stato essenziale per riottenere la libertà.
A convincere poco, però, è l’entità della pena base (quattro anni e sei mesi) applicata alla Gariboldi. Non è in discussione la buona fede dei magistrati che hanno partecipato al processo, ma francamente la pena appare incomprensibilmente bassa. Ragionando per assurdo, se una persona ricicla un solo euro le dovrà essere applicata una pena di quattro anni, il minimo previsto dalla legge. È mai possibile allora che le ingenti somme (oltre due milioni di euro!) riciclate dalla Gariboldi meritino una pena così di poco superiore al minimo? Ancora, il fatto che Lady Abelli abbia messo a disposizione un milione e centomila euro è ragione sufficiente per concederle le attenuanti generiche? In fin dei conti, se si fosse arrivati ad un processo i soldi presenti sul conto corrente incriminato sarebbero per legge stati confiscati, rientrando in tal modo nella disponibilità dello Stato.
Insomma, sembra chiaro che, a fronte di un reato grave per tipologia ed entità del riciclaggio, è stata applicata una pena sproporzionatamente bassa al solo scopo apparente di concedere alla Gariboldi la libertà, sia pure condizionale, e così, di fatto, l’impunità: davanti alla legge, evidentemente, “tutti sono uguali ma le mogli di alcuni sono più uguali degli altri”.
che sconforto l’articolo.Ma in bocca al lupo x “Bonarda”!peccato non poter partecipare aifesteggiamenti,ma tanto non avrei potuto sponsorizzarvi nemmeno…