Prosegue il racconto dell’ex operaia della LASME di Melfi. Ho lasciato in corsivo le sue impressioni personali, per distinguerle dalla cronaca vera e propria.
Sul tetto
Gli incontri si susseguono anche se a ritmo molto rallentato e senza progressi di fatto, questo esaspera gli animi sfociando nell’occupazione dell’area aziendale. Il 25 agosto sette operai salgono sul tetto.
Mio marito ha sempre cercato di tenermi lontana dai passaggi cruciali: mi ha telefonato per avvisarmi che non sarebbe tornato dall’incontro in Confindustria, quando sono rimasti lì per fissare l’incontro successivo con l’azienda, che era sempre un terno al lotto, e allo stesso modo quando è rimasto sul tetto.
Quello che credo sfugga a molti mentre si descrive queste situazioni è tutto ciò che ne consegue: mia figlia maggiore continuava a farmi domande sul papà, del perchè non stesse con noi, perché fosse sul tetto, perché non ci volessero più a lavorare… Il piccolo che aveva un anno compiuto da pochissimo si è disabituato alla presenza paterna.
Di solito si esaurisce la descrizione del disagio dello stare su un tetto con frasi fatte come “Resistono ai 40° e oltre gli operai…”. Si deve capire che stiamo parlando, nel caso della LASME, del sole cocente che si riflette sulle lamiere che rendono mollicce le suole delle scarpe, per tutto il giorno perché quando qui fa caldo bisogna aspettare che il sole tramonti per cominciare a sentire qualche lieve cambiamento di temperatura; del fatto che non ci si possa lavare, andare in bagno… Credo che un governo che non sia sensibile a questo non abbia il diritto di restare in piedi, e lo stesso vale per l’opposizione perché le situazioni dello stesso tipo che si sono susseguite e ancora continuano avrebbero dovuto rovesciare questa finta democrazia che è vergognosa e paragonabile al medioevo.
Oltre alla oltraggiosa mancanza di rispetto per i nostri figli, perché si parla tanto di sfuttamento e violenza sui minori nei Paesi in guerra o sottosviluppati quando è quello il sogno per i nostri figli, di questi padroni. La violenza la subiscono i figli di chi vive del proprio lavoro che quando ne sono privati non possono nemmeno più permettersi il piacere di stare insieme…
Quando finalmente si riaprono le trattative con l’azienda si vota per far scendere i sette dal tetto, personalmente sono contraria ma la maggioranza decide per la linea morbida… Il 28 agosto, quando scendono i colleghi si sciolgono in lacrime e baci per “gli eroi paladini del lavoro”, tutti grati, tutti.
La spedizione di Chiavari
Tutti grati ed esultanti per il risultato ottenuto. Credo che quel giorno abbia segnato il declino del presidio, quando ci siamo trovati a fronteggiare incontri che non portavano a niente, uno uguale all’altro, con l’offerta di quattro soldi che hanno reso irrequieti tutti quelli che si trovavano alle strette.
A settembre per risollevare la disastrosa situazione finanziaria collettiva mio marito, Vito Buglione e altri tre colleghi si infilano nella mia Stilo per raggiungere la casa madre di Chiavari, la LAMES, e reclamare lo stipendio di agosto… L’effetto sorpresa se lo godono tutto! Distribuiscono anche dei volantini davanti alla LAMES dove la maggior parte dei dipendenti tenta di evitarli; qualcuno però si ferma raccontando degli staordinari massacranti a cui sono costretti, compreso sabato e domenica notte perché i Modulo Porta sono impossibili…
I colleghi sono entusiasti della bravata, oltre che dei loro conti rinpinguati, ma quando si chiede loro di partecipare alle spese di autostrada e diesel insorgono. Inizia cosi la disputa per le iniziative soggettive, per il fondocassa e tante altre scemenze che inesorabilmente affossano la fragile unità del gruppo.
CONTINUA