Pensavo di dedicare questo pomeriggio a Ichino e al suo diabolico progetto di riforma del diritto del lavoro, finché ieri ho visto un film che mi è piaciuto e mi ha molto intrigato, The Social Network: il Senatore aspetterà.
Qualche anno fa, quando il fenomeno Facebook in Italia era agli albori, qualcuno in una mailing list a cui sono iscritto profetizzò: “Ma sì, è una moda e passerà come tutte le altre, tra due anni nemmeno ci ricorderemo che sia esistito”.
Il film di David Fincher (Seven, Fight Club) non si limita a testimoniare il clamoroso errore di pronostico, ma offre anche qualche spunto molto interessante per capire le ragioni del fenomeno e, indirettamente, abbozza una riflessione più generale sui modelli di socialità all’epoca di internet.
Tratto dal libro di Ben Mezrich Miliardari per caso – L’invenzione di Facebook: una storia di soldi, sesso, genio e tradimento, il film racconta le origini di Facebook attraverso il filtro della vicenda giudiziaria relativa alla sua proprietà intellettuale. La nascita del social network che ha cambiato le abitudini di decine di milioni di persone in tutto il mondo viene narrata così nelle forme di un vero e proprio legal thriller, attraverso le deposizioni dei personaggi, tutta in flash back. I protagonisti della controversia legale, come del film, sono Mark Zuckerberg (l’inquietantemente convincente Jesse Eisenberg), l'(ex) amico e co-fondatore del sito, prima di essere scaricato da Zuckerberg, Eduardo Saverin (Andrew Garfield, apprezzabile come in Parnassus) e i gemelli Winklevoss (apprendo da wikipedia che sono interpretati da un solo attore, Armie Hammer), studenti di Harvard e campioni di canottaggio che si dichiarano inventori dell’idea del social network. Divertente la scelta di far interpretare a Justin Timberlake il ruolo di Sean Parker, creatore di Napster e collaboratore di Zuckerberg.
Da segnalare il cammeo del principe Alberto di Monaco (ma sarà lui? no, gli somiglia solo), non foss’altro perché mi fornisce l’occasione di citare una delle scene che più ho apprezzato del film: sotto il cielo plumbeo che sovrasta un Tamigi ancora più plumbeo, in un silenzio irreale, i due Winklevoss corrono e perdono una regata. Ad attenderli dopo la sconfitta trovano non solo la beffa del principe che continua a ripetere “non ho mai visto una regata così incerta”, ma soprattutto il danno di apprendere che il Facebook dell’odiato Zuckerberg è ormai approdato in Europa.
Il campus di Harvard è la cornice in cui si svolge gran parte della vicenda. L’ambiente elitario e conservatore dei club studenteschi è il terreno di coltura ideale per cattiverie, gelosie e meschinità. In fondo, è un ambiente molto simile a quello descritto in tutt’altra chiave da John Landis in Animal House, ma senza la Delta House e senza Bluto.
Cattiveria, gelosia e meschinità sono non a caso, fin dal dialogo iniziale con la (subito ex) fidanzata Erica Albright (Rooney Mara) e fino alla fine della storia, le caratteristiche più evidenti di Zuckerberg, una specie di Sheldon Cooper terribilmente serio: Facebook è descritto come il figlio naturale di queste caratteristiche, del desiderio di conoscere persone sessualmente disponibili e del genio del programmatore. Proprio facendo leva su questi elementi il social network sembra garantirsi il suo incredibile successo.
Forse per questo il film risulta tanto coinvolgente e un po’ angosciante: perché in fondo il protagonista è lo spettatore – utente di Facebook, che si vede rivelati aspetti della sua natura che eviterebbe volentieri di mettere in piazza. La colonna sonora e la fotografia accrescono e rendono perfettamente il senso di inquietudine con toni freddi e cupi estremamente efficaci.
A un livello più diretto ed esplicito si colloca la riflessione sul social network e le sue potenzialità. Come ricordano i titoli di coda, Facebook ha superato il mezzo miliardo di iscritti. Si tratta pur sempre di una moda destinata prima o poi a essere rimpiazzata, come qualcuno profetizzava anni fa? Una possibile risposta è nelle parole di Mark Zuckerberg: “Facebook non è una moda, è la Moda. Le mode passano, la Moda non passa mai”.
P.S. Per la verità, il progetto originale ieri era andare a vedere Scott Pilgrim. Nel mio commento al film avevo scritto: “in Italia, quando uscirà, questo film non se lo cagheranno in molti“. Purtroppo sono stato facile profeta: l’hanno tenuto in due sale in tutta la provincia di Milano, per una settimana (terminata giusto venerdì) e soltanto di pomeriggio. I distributori non capiscono niente di cinema.