Vale la pena, anche con qualche giorno di ritardo, spendere due parole sulla pronuncia del Tribunale di Genova che il 26 marzo ha condannato il Ministero dell’istruzione (in persona del Ministro Gelmini) a risarcire 15 docenti precari per il danno che lo Stato ha causato loro per dieci anni di precarietà. La sentenza – di cui al momento esiste il solo dispositivo: le motivazioni saranno pubblicate entro i prossimi due mesi – ha destato scalpore per l’entità del risarcimento, che complessivamente ammonta a circa mezzo milione di Euro.
Peraltro, questi docenti non otterranno l’assunzione da parte dello Stato, a differenza dei loro colleghi di Siena che alcune settimane fa si erano visti riconoscere dal Tribunale anche la stabilizzazione.
Si tratta comunque di un precedente importante, in vista delle migliaia di ricorsi già pendenti o in preparazione in tutta Italia. Il fatto curioso è che la maggior parte di questi ricorsi non ci sarebbero mai stati se il Collegato Lavoro non avesse messo tutti i precari con le spalle al muro costringendoli a impugnare “ora o mai più” i loro contratti: almeno in questo settore, si è avverata la speranza che la legge si rivelasse un boomerang per i suoi creatori!
Mentre il Governo ha già annunciato che proporrà appello contro la sentenza, i suoi ascari già cominciano a riciclare la retorica berlusconiana sulle “toghe rosse”, colpevoli stavolta di creare con i maxi-risarcimenti un buco nel bilancio dello Stato. In prima fila ecco il Professor Michele Tiraboschi, “consulente del Ministro del Lavoro” (così non si può dire che critico soltanto quelli del PD!), che in un articolo pubblicato sul Sole24Ore parla di “palesi – quanto inaccettabili – forzature rispetto a regole e principi sino ad allora ritenuti fuori discussione” e di “sconcerto e un giustificato allarme per gli altrettanto “precari” conti pubblici. Un buco di oltre 4 miliardi di euro (questa la stima degli effetti della sentenza di Genova) sarebbe tale da inficiare non solo l’efficienza organizzativa di una scuola che già difetta di adeguate risorse, ma le stesse prospettive di crescita del nostro Paese per i prossimi anni“.
Ma la sentenza di Genova è soltanto un pretesto, l’obiettivo vero è ben altro: basta con questi precari che pretendono di ottenere i propri diritti a scapito dei poveri datori di lavoro. Ecco:
“anche se destano meno clamore e restano conosciute a una ristretta cerchia di addetti ai lavori, sono decine di migliaia le sentenze della magistratura del lavoro che provocano sconquassi nei bilanci delle nostre imprese sanzionando ex post, con ritardi di cinque/sei anni, scelte organizzative che parevano compatibili con quella che i tecnici chiamano la lettera della legge. Sono stimate in ben 1.200 mila le cause di lavoro in attesa di giudizio che gravano sulla competitività e l’efficienza organizzativa delle nostre imprese indebolendone la posizione sul mercato a danno di tutti, dipendenti della impresa compresi“.
A differenza di tanti politici, Tiraboschi parla abbastanza chiaro: c’è una guerra in corso, tra i datori di lavoro che vogliono fare quello che gli pare e i lavoratori – in questo caso i precari – che si appoggiano su quelle poche leggi che qualcosina garantiscono loro per far valere i propri diritti. L’entità della guerra è dimostrata dal numero di cause pendenti: oltre un milione in tutta Italia. I giudici smettano di stare in mezzo al guado e comincino ad applicare le leggi come conviene al padronato, realizzando quella liberalizzazione completa dei contratti di lavoro che è il sogno bagnato di Confindustria e dei suoi sostenitori, sia quelli di destra sia quelli che stanno nel PD.
Impressiona il tono minaccioso, verso i giudici (e pazienza) e verso i lavoratori: ricorda molto da vicino quello di Marchionne e Marcegaglia, di cui è in effetti buon portavoce. Prosegue infatti Tiraboschi scagliandosi contro “un robusto orientamento giurisprudenziale che, deliberatamente, si è posto l’obiettivo di demolire la volontà del legislatore avallando una lettura fortemente restrittiva della normativa di legge al punto da condizionare l’apposizione del termine al contratto di lavoro alla presenza di esigenze meramente temporanee“. Ecco che cosa intendevano quando nel Collegato Lavoro hanno evidenziato il principio per cui, in soldoni, “il Giudice si faccia gli affari suoi”!
Articoli come questo sono un buon segno, così come lo sono il milione di cause sui precari stimato da Tiraboschi: significano che sempre più persone non si rassegnano allo stato di cose esistente e cominciano a pretendere i diritti. Significano che chi comanda – il Governo e il padronato – non si sente più tanto sicuro di poter fare quello che vuole. Se sommiamo a questo le manifestazioni di dissenso degli studenti, degli immigrati, dei precari negli ultimi mesi, le lotte degli operai della FIAT e non solo, le mobilitazioni in favore dello sciopero generale, tali da costringere la CGIL a convocarlo sia pur malvolentieri, possiamo scorgere una linea di tendenza che accomuna in qualche modo l’Italia al Nord Africa.
Siamo solo all’inizio: non è affatto detto che la spuntino sempre i soliti – come insegna Machete.
P.S. Che c’entra Machete? Ve lo racconto appena ho tempo.