Ovvero, tu gli dai un dito e quelli si prendono tutto il braccio: con il famigerato accordo del 28 giugno scorso la CGIL aveva scandalosamente consentito di smantellare il principio della inderogabilità in peggio dei contratti collettivi nazionali; con la manovra il Governo ha reso questa deroga legge dello Stato, ampliandone la portata con tanto di ciliegina-regalo alla FIAT di Marchionne.
L’art. 8 del decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138, ossia la “manovra di ferragosto“, rimette ai “contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda” (in pratica, i sindacati confederali; i sindacati di base soltanto nelle aziende dove hanno una significativa rappresentanza) la possibilità di “realizzare specifiche intese finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività“: cioè, praticamente quando gli pare e piace e ovviamente senza nessun controllo esterno della congruità delle intese agli obiettivi fissati.
Nessun riferimento ai contratti collettivi nazionali, che cessano la loro funzione di paracadute, e neppure alle leggi, che a quanto pare possono essere derogate in peggio in vari modi. Nessun limite o quasi, infine, alle materie in cui può essere esercitato questo straordinario potere:
a) impianti audiovisivi e nuove tecnologie: con un tratto di penna si può cancellare a livello aziendale o territoriale la tutela dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori che da quarant’anni vieta “l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori“. Il luogo di lavoro viene sempre più concepito come dominio assoluto del datore di lavoro, vero e proprio padrone che può mettere ovunque occhi e orecchie.
b) mansioni del lavoratore, classificazione e inquadramento del personale: in deroga al principio fondamentale, sancito dalla legge, per cui un lavoratore non può essere assegnato a mansioni inferiori a quelle per cui è stato assunto, aziende e rappresentanze sindacali compiacenti potranno consentire, ad esempio, che ai dipendenti sgraditi siano assegnate mansioni peggiori, magari per spingerli a dimettersi. Le aziende vengono così incentivate a sacrificare, ogni volta che torni comodo e senza alcun controllo, la professionalità e le competenze dei dipendenti, tra l’altro pregiudicando gravemente anche la stessa sicurezza, dal momento che lavoratori esperti potranno in qualunque momento essere spostati e sostituiti da neoassunti per pura convenienza economica.
c) contratti a termine (assunzioni precarie senza neppure il blando controllo di legge), contratti a orario ridotto, modulato o flessibile (diritto di vita e di morte sui ritmi di vita dei lavoratori), regime della solidarietà negli appalti e casi di ricorso alla somministrazione di lavoro: quest’ultimo punto merita particolare attenzione. La legge prevede che, nel caso in cui un’azienda appalti a un’altra l’esecuzione di alcuni servizi, i dipendenti dell’azienda che riceve l’appalto possano rivalersi, nel caso in cui non siano pagati, sulla committente (di cui si dice, appunto, che “risponde in solido”): si tratta di una tutela fondamentale, specialmente in settori come la logistica e i trasporti in cui il lavoro viene normalmente appaltato a consorzi e cooperative di comodo che si sciolgono come neve al sole al momento di pagare contributi e liquidazioni. In poche parole vengono letteralmente derubati decine di migliaia di lavoratori, che non potranno più chiedere i propri soldi al committente.
d) disciplina dell’orario di lavoro: saltano anche i pochi paletti fissati dalla legge in tema di limite al numero di ore di lavoro, riposi, pause etc.. A farne le spese saranno, ad esempio, i dipendenti dei supermercati, alla completa mercé dei loro datori di lavoro.
e) modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA (anche qui in barba a ogni residua regola che fissa percentuali massime di assunzioni precarie e finte collaborazioni), trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio. Partiamo dal fondo, osservando che si dichiarano intoccabili le regole sul licenziamento in caso di matrimonio ma non di gravidanza: sono validi perciò gli accordi fatti sulla pelle delle lavoratrici incinte. Ma è chiaro che qui gli obiettivi sono ben altri: i lavoratori precari, a cui potrà essere preclusa la stabilizzazione anche nel caso in cui dovessero ottenere giustizia in tribunale, e quelli fissi, che potrebbero essere privati per accordo aziendale dell’articolo 18!
Ma non è finita. Si ricorderà che, all’indomani del 28 giugno, Marchionne, pur riconoscendo che i principi contenuti nell’accordo erano del tutto condivisibili, si era lamentato che non fosse tuttavia garantita la tenuta degli accordi di Pomigliano e Mirafiori, dal momento che il patto era valido soltanto per il futuro. Ecco adesso il rimedio: “le disposizioni contenute in contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, sono efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità produttive cui il contratto stesso si riferisce a condizione che sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori“. Con buona pace dei ricorsi della FIOM.
Proprio i casi di Pomigliano e Mirafiori tracciano la strada per il prossimo futuro delle relazioni sindacali, nelle intenzioni del padronato e del Governo: l’idea è relegare in perenne minoranza le rappresentanze più combattive per ottenere “accordi” sempre peggiori, con la connivenza di CISL e UIL, sindacati ormai di fatto “gialli”, e con l’uso sistematico del ricatto come strumento di consenso.
Sia chiaro che queste norme sono *già* in vigore, insieme al resto del decreto, fino all’approvazione della legge di conversione in Parlamento, attesa con ogni probabilità per la prossima settimana. E sia chiaro anche che, senza una forte reazione popolare, nessuno si sognerà di cambiarla questa norma, che, forse non nella forma, ma di certo nella sostanza vede perfettamente concorde anche il Partito Democratico.
Il 6 settembre si sciopera: non solo contro il Governo e la manovra, ma anche per ricordare ai vertici della CGIL che con questa classe padronale e tutto il sistema politico che la rappresenta e la protegge non ci sono accordi possibili, si può solo combattere.