Ieri è stata inaugurata a Pomigliano la produzione della Nuova Panda, alla presenza dello stato maggiore FIAT e di una selva di giornalisti più o meno addomesticati. I media principali, senza distinzione, si sono affrettati a raccontare in toni apologetici della generosità di Marchionne a mantenere la produzione là dove FIAT ha le sue radici, rifiutando le sirene dei paradisi stranieri in cui gli operai si possono pagare con un casco di banane o qualche sorso di vodka, senza che sindacati ostili si mettano di traverso.
Nessuno ha raccontato delle centinaia di operai, già dipendenti dell’impianto di Pomigliano, rimasti fuori dai cancelli perché ancora in cassa integrazione. Nessuno o quasi ha fatto notare che degli oltre 4.000 operai che compongono la forza lavoro dello stabilimento, meno di un migliaio è tornato o tornerà al lavoro. Per tutti gli altri, fra i quali tutti gli iscritti alla FIOM, continuerà la cassa integrazione a oltranza, perlomeno finché non verrà fatalmente discussa la mobilità.
Altro che impegni mantenuti, altro che generosità, altro che decisione presa “contro l’interesse economico dell’azienda”!! Grazie agli accordi firmati, sempre ieri, dai soli sindacati compiacenti, in tutto il gruppo FIAT oltre che a Pomigliano Marchionne ha ottenuto di ridurre drasticamente la necessità della forza lavoro, imponendo ritmi produttivi esasperanti e usuranti, ottenendo soprattutto che nessuno possa metterli in discussione pena la perdita di tutele fondamentali e perfino il licenziamento.
L’accordo aziendale che regolerà la vita in tutti gli stabilimenti FIAT in Italia dal primo gennaio non è soltanto iniquo nei suoi contenuti – non sarebbe certo il primo della serie: la vera novità inquietante e pericolosa sta nell’idea di come debbano svolgersi i rapporti industriali tra padronato e lavoratori. Imposto unilateralmente con il ricatto della chiusura dell’azienda, questo sistema esclude ogni forma di consultazione autentica, ogni forma di trattativa, ogni forma di vera rappresentanza degli interessi dei lavoratori, al punto da voler limitare in ogni modo (fino a escludere del tutto, nelle intenzioni iniziali) la presenza in azienda dei sindacati che non abbiano sottoscritto l’accordo.
Ricatto e imposizione unilaterale di sacrifici sono anche la ricetta del Governo Monti: un governo tecnico soltanto nel senso che i suoi membri non devono rispondere a nessuno sul piano elettorale, e hanno quindi mano libera nel mettere in atto misure che i partiti, per ragioni di propaganda, non potrebbero impunemente proporre. Alla fine dello squallido balletto a cui stiamo assistendo in questi giorni, PD e PdL voteranno il testo della manovra sperando che sia posta la fiducia, per poter evitare anche quest’ultima responsabilità di fronte ai loro elettori. Il Parlamento, già per nulla rappresentativo degli interessi degli italiani, finisce a sua volta esautorato in nome dell’interesse “più alto” di banchieri e imprenditori europei, con il plauso pressoché unanime dei grandi mezzi d’informazione.
Ma non c’è nulla da applaudire, né per l’inaugurazione della Nuova Panda né per l’approvazione di una manovra devastante per le tasche della stragrande maggioranza degli italiani. Come ha scritto il sindaco di Napoli Luigi De Magistris motivando la sua mancata partecipazione alla “festa” di Pomigliano,
“oggi si deve essere responsabili, anche rispetto alle generazioni future, e denunciare chiaramente l’epocale svolta che si sta realizzando. La morte della democrazia nelle fabbriche e in tutti i posti di lavoro. E quando la democrazia muore nelle fabbriche, cioè nel mondo del lavoro, muore anche nel paese. E questo non può essere celebrato, questo non può essere consentito“.
Fra tutte quelle che sono state spese in questi giorni, queste sono le parole che descrivono meglio che cosa sta davvero succedendo in Italia oggi. Quel finale, “questo non può essere consentito“, ci consegna il compito per domani.