Circa una settimana fa è apparsa sulla Provincia Pavese una lettera di tale Riccardo Montagna, dei giovani del Partito Democratico, che dichiarava il suo appoggio alle proposte di riforma proposte da Pietro Ichino, senza peraltro spiegarne granché. Questa la mia replica, apparsa oggi.
Alcune considerazioni sul dibattito in corso circa eventuali modifiche all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, anche con riferimento alla lettera di Riccardo Montagna apparsa alcuni giorni fa.
Si tratta, a mio avviso, di una discussione profondamente – ma non casualmente – viziata sotto diversi aspetti. È curioso come tutti i sostenitori delle varie proposte di modifica leghino la necessità di una più o meno marcata limitazione dell’ambito di applicazione della norma alla presunta esigenza di introdurre una maggiore flessibilità nel mercato del lavoro.
Innanzitutto, l’affermazione di questa esigenza fa a pugni non soltanto con l’esperienza quotidiana di milioni di lavoratori, precari e stabili, ma anche con i dati pubblicati dall’OCSE – istituzione di matrice certamente non bolscevica – che indica l’Italia tra i Paesi europei in cui i dipendenti a tempo indeterminato godono del minor grado di tutela effettiva. È già ampiamente riconosciuta dalla nostra legislazione, infatti, un’ampia possibilità di licenziare sia individualmente che collettivamente anche per ragioni di carattere economico (il giustificato motivo oggettivo).
In secondo luogo, si evita accuratamente di spiegare che l’art. 18 non riguarda affatto le ragioni che possono legittimare il licenziamento – e quindi non pone di per sé alcun limite alla possibilità di licenziare. L’art. 18 disciplina invece le sanzioni che colpiscono i datori di lavoro (non tutti, soltanto quelli con più di 15 dipendenti) che abbiano licenziato dei dipendenti in violazione della legge, immotivatamente. Quando si afferma di voler ridurre l’applicazione dell’art. 18, dunque, non si propone affatto di aumentare la flessibilità, ma soltanto di diminuire drasticamente le sanzioni per quegli imprenditori che violano la legge operando licenziamenti senza valido motivo. Da più parti si sente che tra gli obiettivi di questa riforma ci sarebbe la possibilità di attirare in Italia gli investimenti di imprenditori stranieri: ammesso che sia vero, quanto può essere affidabile e fonte di sviluppo un’imprenditoria attratta soltanto dalla possibilità di violare la legge impunemente o quasi?
Per le stesse ragioni è fuorviante – anche in questo caso del tutto volutamente – la propaganda martellante dei sostenitori di questo vero e proprio regalo alla peggiore imprenditoria nostrana, secondo cui la parziale o totale abrogazione dell’art. 18 dello Statuto servirebbe a superare il “dualismo del mercato del lavoro” tra lavoratori stabili e precari. Nulla di tutto questo: all’ingiustizia subita dai precari si vuole semplicemente aggiungere un’ulteriore ingiustizia ai danni dei lavoratori oggi tutelati in caso di licenziamento illegittimo.
Al contrario, l’unico modo efficace per superare il gap di tutela tra lavoratori precari e stabili è estendere le sanzioni previste dall’art. 18 dello Statuto non soltanto a tutti i licenziamenti illegittimi (anche al di sotto dei 15 dipendenti), ma anche a tutti i casi, diffusissimi, di contratti a termine senza vera causale e di contratti a progetto, occasionali e partite Iva che mascherano rapporti di lavoro a tutti gli effetti subordinati.
trovo assordante il silenzio che sta accompagnando questa ‘riforma’: i giornali ripetono sempre le stese cose. Possibile che nessuno abbia qualcosa da dire (oltre ai “soliti noti”)?
È in atto un processo di consapevole disinformazione martellante, come neppure con Berlusconi. Sui giornali main-stream si leggono letteralmente soltanto palle, clamorose, volute, ordinate dall’alto ovviamente.
Si deve cercare di fare controinformazione con ogni strumento e sperare che scoppi un casino il più rumoroso possibile.