Non si conosce ancora il testo della riforma del lavoro che il governo presenterà al Parlamento (“Dobbiamo solo definire dei particolari”, ha detto Monti: scommettiamo che peggioreranno ulteriormente il quadro?), ma dalle sintesi giornalistiche sembra assodato che il diritto alla reintegrazione (l’Articolo 18) rimarrà soltanto in caso di licenziamento discriminatorio; in caso di licenziamento per ragioni disciplinari che venga dichiarato illegittimo (perché non c’erano le ragioni!) sarà il giudice a decidere tra reintegrazione (solo nei “casi gravi”) e risarcimento (fino a 27 mensilità a seconda dell’anzianità di servizio); in caso di licenziamento per ragioni economiche (che il giudice non potrà però vagliare) sarà possibile in caso di illegittimità soltanto un risarcimento e non più la reintegrazione.
Non sembra cambiare la sorte per i licenziamenti collettivi. O forse sì: chiedetelo ai lavoratori della Elnagh, se senza cassa integrazione in caso di chiusura aziendale stanno bene lo stesso. Del resto, è sempre Fornero a commentare: “Ci diranno che riduciamo le tutele: è vero”. Anche se aggiunge che la platea dei beneficiari degli ammortizzatori sociali si estenderà. Come, non è dato sapere.
E i precari? Sempre secondo le sintesi giornalistiche, la riforma dovrebbe garantire loro maggiori tutele. Prendo a esempio questo articolo di Jacopo Tondelli, sia perché conosco Tondelli dai tempi dell’università, sia perché mi sembra davvero emblematico dell’atteggiamento paraculo (lo dico senza nessuna sfumatura di simpatia) della stampa sull’argomento. Scrive Tondelli:
Ma a fare una certa impressione, oggi, è che non ci siano neanche timidi segnali di soddisfazione per alcune misure di stampo chiaramente “social-democratico”. Parliamo delle norme che riducono a 36 mesi il tempo massimo di precariato, disincentivando anche economicamente le aziende dal farne abuso. O di quelle – fondamentali per milioni di lavoratori soprattutto under 40 – che sanzionano con l’assunzione obbligatoria l’utilizzo di “finte partite iva”, che lavorano in realtà in modo continuativo e sostanzialmente subordinato per un solo committente.
Si riferisce probabilmente alle parole del ministro Fornero, che afferma: “il contratto di lavoro a tempo indeterminato diventa quello che domina sugli altri”. Un po’ tutti i giornali e i commentatori à la Ichino ci stanno ricamando su in queste ore (ma già lo facevano da mesi) cercando di far passare l’idea che, mentre si tolgono un po’ (un bel po!) di diritti ai lavoratori stabili, se ne aggiungono altrettanti ai precari.
Peccato che il tetto di 36 mesi ci fosse già e che fosse possibile aggirarlo mediante accordi sindacali: cosa che l’art. 8 della manovra rende adesso ancora più facile perfino a livello aziendale. E le finte partite IVA (e i finti contratti a progetto, e i finti appalti: insomma, un po’ tutte le finte per pagare di meno i lavoratori!) non è che oggi siano lecite: anche adesso, se il giudice accerta che un rapporto di lavoro è solo fintamente autonomo ma nasconde un rapporto subordinato, condanna il datore ad assumere il lavoratore. Di che cosa stiamo parlando, quindi? Di fuffa: per i precari non cambia un bel niente!
Peggiorano invece, e di parecchio, le prospettive per chi riesca a uscire dalla precarietà – che in fondo è ciò a cui aspira ogni precario che si rispetti. Non solo infatti è sostanzialmente abolito l’Articolo 18 per i licenziamenti illegittimi (non prendiamoci in giro: per *tutti* i licenziamenti illegittimi, visto che di licenziamenti esplicitamente discriminatori non se ne sono mai visti). Cambiano infatti radicalmente le condizioni di accesso al lavoro “stabile”.
Ha voglia il ministro Fornero di dire che il lavoro a tempo indeterminato diventa la forma dominante di contratto. Tanto per cominciare, anche questo era già così: lo stabiliva il primissimo comma della “legge Treu” che “Il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato.” Questo non ha impedito, e non impedirà certo in futuro, che centinaia di migliaia di contratti a tempo determinato vengano serenamente stipulati senza alcun riguardo per la legge.
Ma se poi, come sembra assicurato, la forma normale di prima assunzione sarà il contratto di apprendistato non c’è affatto da stare allegri. Eccolo dunque il giovane (e pure il non giovane) che dopo 36 mesi di contratti a termine viene finalmente assunto a tempo indeterminato: sì, con retribuzione al 60% di quella ordinaria a parità di mansioni, e diritto del datore di lavoro di recedere unilateralmente dal rapporto alla fine del periodo di apprendistato. Un bell’affare proprio!
Nel frattempo, l’art. 8 della manovra di settembre consente alle aziende di demansionare, trasferire, tagliare stipendi e modificare gli orari a piacimento. Chi si lamenta verrà licenziato, naturalmente per ragioni economiche: il giudice non potrà vagliarle e sarà quindi difficile dichiarare il licenziamento illegittimo. Ma pure nel caso che queste ragioni economiche proprio non stessero in piedi, al peggio del peggio, il datore di lavoro se la caverà pagando un risarcimento comunque conveniente rispetto alla reintegrazione.
Stessa sorte toccherà ai lavoratori già anziani, e quindi più costosi per l’azienda: spazio ai giovani, che si potranno assumere a metà prezzo e mandare via appena diventano un pochino meno convenienti, o quando provano a rivendicare condizioni di lavoro migliori! Al mercato del lavoro secondo Fornero i saldi durano tutto l’anno. Meno male che gli anziani presto andranno in pension… Ah no, come non detto: prenderanno invece la disoccupazione per un anno, massimo 18 mesi, e poi a casa a mangiare pasta col pomodoro, ché altro non potranno permettersi.
Del resto, non c’è motivo di credere che la riforma metterà un freno all’illegalità nei contratti di lavoro, tanto diffusa da diventare la norma invece che l’eccezione: nessuna misura concreta viene annunciata su questo fronte, al di là di qualche slogan a ottimo mercato. A quanto è dato capire, l’unico freno verrà messo in sostanza alle sanzioni che colpiscono i pochi datori di lavoro che vengono “beccati”, e alla possibilità stessa di far valere i propri diritti di fronte al potere di ricatto dell’imprenditore. Tanto varrebbe scrivere allora che “la forma normale del rapporto di lavoro diventerà l’estorsione”.
Bene fa la CGIL (un po’ obtorto collo, a dir la verità) a convocare lo sciopero generale contro il governo che prepara un simile massacro. E bene farebbero i precari a unirsi nella lotta contro questa riforma, mandando dove meritano tutti gli Ichini che li stanno prendendo per il culo.
Cosa succederà alle persone che hanno fatto, o faranno, lunghe assenze dovute a malattie? Rischieranno di essere lasciati a casa anche loro per motivi “economici” o si prevedono forme di tutela?
A casa anche loro, esattamente come già oggi capita nelle aziende con meno di 16 dipendenti. Ovviamente (quasi) nessun datore di lavoro sarà così stupido da scrivere che il licenziamento è dovuto alla malattia!
Mi piacerebbe tanto sapere se il comune dove ho speso ben 17 anni della mia vita di lavoro come precaria tra umiliazioni sfuttamenti ecc. fino all’ ultimo contratto come tirocinante cioè Dicembre 2012 mi illudono con promesse di prospettive migliori e durature poi senza spiegazioni da circa 4 mesi (senza lavorare) ancora temporeggiano a darmi una seria e vera spiegazione sulla mia fine, certamente questa gente non si rende conto dei danni che mi hanno procurato sia economici visto il mutuo che devo pagare 2 figli piccoli e il mio senso di malessere psicologico e disorientamento sul dafarsi.