Ovvero, nella banale versione italiana, La leggenda del cacciatore di vampiri: tipico caso di lost in translation.
Chiunque abbia letto qualcosa della Guerra Civile americana, si imbatte inevitabilmente in un paradosso: com’è possibile che i Sudisti, economicamente e numericamente inferiori all’esercito del Nord, abbiano tenuto in scacco per ben due anni le forze dell’Unione? Varie spiegazioni sono state date dagli storici e dagli esperti di cose militari, quella di Seth Grahame-Smith è forse meno convincente, ma senz’altro più suggestiva: i Confederati erano aiutati dai vampiri, alleati dei grandi proprietari di schiavi – tanto per non lasciar dubbi sulla malvagità degli uni e degli altri.
Rimasto orfano proprio per colpa di un vampiro, il futuro Presidente si fa addestrare a cacciarli, armato di un’ascia intinta nell’argento e mosso prima dal desiderio di vendetta personale, poi dalla missione di impedire che l’America diventi il Paese dei morti invece che dei vivi.
L’idea è originale e il film la sviluppa in modo intelligente, incastrando con sorprendente precisione i cliches delle avventure vampiresche (il giovane di belle speranze, l’addestramento da parte di un maestro carismatico e misterioso, gli aiutanti eroici, la compagna coraggiosa, il rifiuto della tentazione del male, gli inevitabili sacrifici, lo scontro finale con il supercattivo e la ricompensa) con la biografia di Abramo Lincoln e la storia della Guerra Civile.
Ovviamente è la parte action a predominare, come il pubblico si aspetta, e l’azione è davvero curatissima anche sotto l’aspetto tecnico e visivo: i combattimenti sono spettacolari quanto si può desiderare, con evoluzioni acrobatiche ed effetti speciali di prim’ordine, le ambientazioni sono evocative, con una strizzata d’occhi ai classici temi e alle tecniche del western, dall’inseguimento a cavallo all’assalto al treno, senza farsi mancare neppure qualche scorcio mozzafiato in campo lungo. Il 3D è allo stato dell’arte, una presenza discreta e gradevole nella maggior parte delle scene, ma vertiginoso ed entusiasmante nelle scene di combattimento, su tutte quello fra Lincoln e la sua nemesi all’interno di una mandria di cavalli al galoppo che quasi letteralmente buca lo schermo.
Con il decisivo contributo del regista Timur Bekmambetov (già autore del mediocre Wanted) e di Tim Burton in veste di produttore, Seth Grahame-Smith riesce a rimanere fedele a un principio fondamentale dello “sciallo-cinema”: affrontare quella che programmaticamente è una cagata demenziale con la serietà con cui si dovrebbe realizzare un documentario. Non si può non apprezzare l’intento e la sua realizzazione.
In quest’ottica è del tutto comprensibile il tono complessivo del film, che appare altisonante e “serio” come del resto si conviene al racconto di una leggenda, che per di più ha come protagonista uno dei patres dei moderni Stati Uniti. Giustamente gli autori evitano cedimenti nella direzione della parodia sguaiata e pure dello splatter: rimarrà parzialmente deluso, forse, chi sperava in un film del genere. L’obiettivo, qui, più che il comico è il surreale: obiettivo pienamente raggiunto, secondo me, anche grazie al (relativo) realismo delle mutilazioni e delle scene di guerra, semplicemente inserendo un singolo elemento fuori posto tanto nella storia di vampiri (Abramo Lincoln) quanto nella Storia americana (i vampiri).
Se poi vogliamo cercare dei difetti, li troviamo proprio là dove la storia si discosta troppo vistosamente dalla Storia. Stona in particolare la rappresentazione della moglie di Lincoln, Mary Todd (una Mary Elizabeth Winstead molto meno affascinante che nello splendido Scott Pilgrim, forse per via dei capelli normali): depressa cronica (specie dopo la morte del figlio William) e addirittura ostacolo per il marito nelle cronache degli storici, qui protagonista eroica, tutto sommato senza che necessità di sceneggiatura lo imponessero.
Analogamente, potranno forse storcere il naso gli esperti di cose vampiresche nel vedere gli Immortali esporsi serenamente al sole senza battere ciglio.
Ma davvero non è il caso di cercare il pelo nell’uovo. Piuttosto, aspettiamo fiduciosi la trasposizione di Orgoglio, pregiudizio e zombie.