È iniziata in queste settimane la campagna per la raccolta delle firme per la presentazione di quattro referendum (o referenda, più corretto ma che proprio non si può sentire): due riguardanti il lavoro, uno sulle pensioni e uno per l’eliminazione della diaria dei parlamentari.
Fondamentalmente non penso che il referendum sia uno strumento di lotta molto efficace: lo si è visto negli ultimi anni, in cui l’unico che abbia raggiunto il quorum è stato il referendum contro la privatizzazione dell’acqua, il cui esito, largamente favorevole alla gestione pubblica del bene comune, è stato sostanzialmente ignorato da governi, regioni ed enti locali.
La campagna per questi referendum comunque offre l’occasione per parlare nuovamente delle controriforme del lavoro, e colmare almeno in parte quel vuoto di informazione che ne ha agevolato l’approvazione. Spiegare come stanno le cose, e offrire un punto di riferimento politico per chi vuole cambiarle, può soltanto aiutare la crescita di un settore di lavoratori pronto a mobilitarsi per riprendersi i propri diritti.
Il referendum è anche il modo per tracciare una linea netta tra amici e nemici: chi sta al di là della linea sono partiti e sindacati che hanno contribuito direttamente, con il voto o l’avallo, o indirettamente, con la mancata opposizione, alle controriforme del lavoro. Non dimentichiamo infatti che l’art. 8 della manovra, di cui oggi si chiede l’abrogazione, è stato anticipato e perfino auspicato dall’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, difeso a spada tratta anche dalla CGIL, con la virtuosa eccezione del sindacato metalmeccanico.
Ecco comunque, in sintesi, le ragioni per firmare per i referendum in materia di lavoro. Si raccolgono le firme per consentire di presentare i referendum per l’abrogazione dell’art. 8 della manovra finanziaria 2011 (decreto-legge 138/2011, convertito in legge 148/2011), e delle modifiche all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori operate dalla Riforma Fornero (legge 92/2012). Di che si tratta?
ART. 8 DELLA MANOVRA 2011
Consente a contratti sindacali aziendali o territoriali di derogare in peggio alla contrattazione collettiva nazionale e alla legge in quasi tutti gli aspetti del rapporto di lavoro: controllo a distanza, assegnazione di mansioni inferiori a quelle spettanti, assunzioni precarie, orario di lavoro, sanzioni al datore di lavoro in caso di abuso di contratti precari e di licenziamenti illegittimi.
Il referendum, in caso di successo, abolirà questa possibilità ripristinando il principio per cui nessun accordo sindacale può modificare in peggio le tutele minime previste dalla legge per i lavoratori.
MODIFICHE ALL’ART. 18
L’art. 18 dello Statuto disciplina le sanzioni che puniscono il datore di lavoro (con più di 15 dipendenti) che abbia licenziato ingiustamente un lavoratore (non stabilisce i casi in cui è legittimo o meno licenziare).
A seguito delle modifiche introdotte dalla Riforma Fornero, la norma prevede la reintegrazione soltanto per alcuni casi di licenziamento illegittimo di tipo disciplinare, quando il comportamento denunciato dal datore non sussista o sia punito meno severamente dai codici disciplinari o dal contratto collettivo. Negli altri casi di licenziamento disciplinare e per i licenziamenti economici (per giustificato motivo oggettivo), che sono di gran lunga la maggior parte, la regola in caso di licenziamento ingiustificato diventa un mero risarcimento economico fra le 12 e le 24 mensilità (mediamente inferiore a quello previsto prima); come è stato subito chiarito dal Presidente del Consiglio Monti, per questo tipo di licenziamenti la reintegrazione (teoricamente prevista per i casi in cui il motivo economico sia “manifestamente insussistente”) è un’ipotesi praticamente irrealizzabile. È addirittura previsto uno sconto per i datori di lavoro più furbi, che omettano del tutto la motivazione del licenziamento: in questo caso, a meno che il lavoratore riesca a dimostrare che il licenziamento aveva in realtà un ben preciso motivo illegittimo (dimostrazione pressoché impossibile), la reintegrazione sarà comunque esclusa e il risarcimento sarà dimezzato.
Il referendum, in caso di successo, ripristinerà il vecchio testo dell’art. 18 dello Statuto, che prevede l’obbligo di reintegrazione in tutti i casi di licenziamento ingiustificato.
RIPRENDIAMOCI I DIRITTI!