Frustrazione, agitazione, sofferenza, orrore, panico: il Lato Oscuro essi sono.
E sono anche i sentimenti che animano tutti gli elettori del centrosinistra con cui ho avuto la ventura di discutere in questa settimana post-elettorale. Tra fanatici anti-grillini da una parte e fanatici grillini dall’altro, una discussione seria sul Movimento 5 Stelle sembra impossibile farla. Soprattutto, colpisce come gli attacchi al Movimento, specialmente da parte di sostenitori di PD e SEL, si concentrino su questioni formali o assolutamente secondarie (la neo-deputata che non sa dire esattamente quanti siano i seggi alla Camera, il neo-senatore che non sa in quale palazzo si riunisca il Senato: esticazzi?) e quasi mai sul merito del programma e delle proposte: anzi, una delle critiche più gettonate è che i pentastellati un programma non ce l’abbiano proprio. Applicano a Grillo e ai suoi lo stesso schema di attacco utilizzato per 20 anni contro Berlusconi: visto che una volta ha funzionato…
Ora, a me non interessa schierarmi con una tifoseria o con l’altra a suon di cori da stadio. Semmai, io tifo per il progetto di una sinistra alternativa, autonoma e di classe, radicata e alimentata dalle lotte dei lavoratori. Perciò credo che capire in che modo il Movimento 5 Stelle si rapporta con questo progetto sia molto più importante che discutere della legge elettorale, del vincolo di mandato o di altre simili amenità.
A questo proposito, mi sono imbattuto ieri in una intervista a Mauro Gallegati, docente di Economia frequentemente ospitato sul blog di Beppe Grillo. L’intervistatore, tale Michael Pontrelli, lo descrive come “uno degli economisti di riferimento di Beppe Grillo. In questi giorni è impegnato nella redazione di una parte importantissima del programma economico del M5S: la riforma del mercato del lavoro“. Pur senza prendere sicuramente per buona l’attribuzione “ufficiale” di Pontrelli, mi pare si possa dare per acquisita almeno la vicinanza di Gallegati al Movimento 5 Stelle, perciò vale la pena sentire che cosa dice, in particolare a proposito di “reddito di cittadinanza” e articolo 18. Punto primo:
Dobbiamo accettare l’idea che il lavoratore possa cambiare più volte occupazione nel corso della sua vita ma senza che questo pregiudichi la sua dignità. Per questo motivo pensiamo sia fondamentale assicuragli un supporto nei periodi di transizione in cui è disoccupato … la proposta [del reddito di cittadinanza] prevede l’erogazione di un sussidio compreso tra gli 800 e i 1000 euro per un massimo di tre anni. Il costo dell’intervento è più o meno di 20 miliardi di euro. Di questi 15 sono già spesi per la cassa integrazione e per gli altri ammortizzatori sociali esistenti. Bisogna quindi trovarne altri 5.
Si è molto parlato della questione del reddito di cittadinanza, sbandierata da alcuni ambienti storicamente di sinistra, ad esempio quelli provenienti dall’autonomia, come una delle prove che, sotto sotto, il M5S va ricondotto all’alveo della sinistra. Qui sembra emergere qualcosa di molto diverso: non un sussidio universale e ulteriore rispetto agli ammortizzatori sociali già esistenti, ma uno limitato nel tempo e soprattutto – parrebbe – in sostituzione degli ammortizzatori già attivi: se è davvero così, suggerisco a Gallegati di tenersi lontano dalle fabbriche della FIAT, dove con la cassa integrazione gli operai campano da almeno un paio d’anni (grazie al brillante piano di investimenti di Marchionne). Se invece ho capito male, e gli ammortizzatori attuali non si toccano, allora facciamo due conti: al nuovo sussidio sarebbero destinati fondi per 5 miliardi di Euro; sarebbe erogato per un massimo di tre anni e avrebbe un importo mensile tra 800 e 1.000 Euro. Viene fuori che potrebbero usufruirne pienamente meno di 200.000 persone: certo, meglio che niente, ma qualche giorno fa l’ISTAT ha reso noto che i disoccupati in Italia sono quasi 3 milioni. Di che cosa stiamo parlando?
Sull’articolo 18, il concetto è molto più esplicito:
E’ un retaggio ideologico che non ha valide ragioni per essere difeso. Nel momento in cui al centro della tutela c’è il lavoratore e non più il lavoro non ha più ragione di esistere. Ci sono tanti studi ormai che dimostrano l’inefficacia dello strumento.
Chi segue AvvocatoLaser sa come la penso sull’importanza tutt’altro che simbolica di preservare l’articolo 18 dello Statuto. In questi sette mesi e mezzo da quando è stato sostanzialmente abolito dalla riforma Fornero, ho avuto la conferma concreta che le possibilità per i lavoratori di difendersi dall’arbitrio e dalle vessazioni dei datori di lavoro sono peggiorate drasticamente, essendo nei fatti esclusa la possibilità di essere reintegrati a seguito di un licenziamento dichiarato illegittimo. E sono diminuiti a cascata (oltre che per gli altri punti della riforma) anche i diritti dei precari o di chi lavora in aziende con meno di 16 dipendenti. Perciò non ho dubbi: chi sostiene le tesi di Gallegati è un nemico di tutti i lavoratori. Esattamente come Elsa Fornero e gli altri esecutori dell’austerity; esattamente come Pietro Ichino, rispetto al quale, spiega il nostro economista, “la differenza è che noi abbiamo espresso questa visione già nel 2007 in Schiavi Moderni mentre Ichino e parte del Pd ci sono arrivati solo successivamente“.
Particolarmente “ichiniana” è l’ispirazione che sostiene tutto il discorso di Gallegati, tutto teso ad alimentare la stantia e del tutto fittizia contrapposizione tra lavoratori stabili e precari (se n’era parlato qui). Non è un caso che ancora oggi Bersani la riproponga tra i punti su cui chiederà l’appoggio del Movimento 5 Stelle, parlando di “Riduzione del costo del lavoro stabile per eliminare i vantaggi di costo del lavoro precario“. Vedremo presto che cosa succederà: di certo, se questa sarà la linea del Movimento 5 Stelle in materia di lavoro, avrà definitivamente ragione chi ritiene Grillo e i suoi nient’altro che un inganno ultraliberista.
Serve con urgenza una sinistra vera in grado di smascherarlo e di combatterlo: dovremmo proprio cominciare a costruirla.