Il signor L. ha ottenuto per la seconda volta il posto di lavoro che gli spetta di diritto. Che ci provino pure a levarglielo un’altra volta.
Ricordate il caso del signor L., licenziato dopo per aver ottenuto dal giudice il diritto a essere riassunto per illegittimità del contratto a termine? Se non lo ricordate, potete leggerlo qui. Per farla breve, la società aveva licenziato il lavoratore sostenendo che il suo posto di lavoro fosse stato soppresso, benché in realtà L. fosse un operaio con mansioni identiche a quelle di quasi tutti gli altri dipendenti della società. Il tribunale di Busto Arsizio aveva giudicato che il licenziamento, motivato in questo modo, non fosse affatto giustificato, ma fosse anzi discriminatorio e ritorsivo. L., secondo il giudice, era stato licenziato in sostanza solo perché aveva ottenuto il posto facendo causa: perciò aveva diritto a essere (nuovamente) reintegrato nel posto di lavoro e risarcito.
Prevedibilmente il datore di lavoro ha impugnato l’ordinanza, così siamo tornati oggi al tribunale di Busto Arsizio, davanti a un altro giudice, per il secondo round: la riforma Fornero infatti ha diviso il primo grado di giudizio, per le cause di licenziamento, in due “sotto-gradi”, una fase a cognizione sommaria e una a cognizione piena – che però nella maggior parte dei casi sono perfettamente identiche. L’azienda ha riproposto sostanzialmente le stesse argomentazioni della fase precedente. Ecco come ha risposto il giudice, non senza un certo umorismo:
Qui si potrebbe motivare la decisione con due parole, essendo macroscopica l’assenza di prova del giustificato motivo oggettivo… Nel ricorso [dell’azienda] si affermava che il licenziamento era giustificato dalla circostanza che, non avendo più la società richiesto le prestazioni lavorative del L., era da ritenere soppresso il posto di lavoro; l’affermazione è tautologica nel senso che essa è per la società vera per definizione: un dogma; le cose in diritto non girano però così.
E ancora:
non è chiaro al ricorrente [l’azienda] che essendo stato condannato a riammettere al lavoro il L. con la [prima] sentenza … era tenuto a fare ciò, e non poteva ex sé decidere che avendo soppresso il L. costui era scomparso.
Infine, un principio importante, anche per il futuro:
qui il motivo [del licenziamento] è illecito perché il ricorrente per non dar corso alla riammissione in servizio del L. lo licenziava senza alcun giustificato motivo così commettendo il reato di cui all’art. 388 comma 1 c.p. [mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, punita con la reclusione fino a tre anni o la multa da 103 a 1032 Euro].
Che facciano pure appello, siamo qui ad aspettarli.