Che nel giro di sei mesi siano stati pubblicati, con successo, due romanzi come Il sol dell’avvenire di Valerio Evangelisti e L’Armata dei Sonnambuli di Wu Ming, è il segno che anche in Italia sotto la cenere dell’apatia cova il potenziale, il desiderio di un’alternativa e di una riscossa. Non basta naturalmente, ma è un buon segno.
Questa volta siamo a Parigi, il 21 gennaio 1793, in mezzo alla moltitudine che assiste alla decapitazione di Luigi XVI, chi in prima e chi in ultima fila, qualcuno in ritardo, chi è lì per assicurare l’ordine e ben pochi nel disperato tentativo di salvare il monarca; qualcun altro invece non può partecipare perché sta lavorando, come i dipendenti dell’Esselunga il 25 Aprile. La rivoluzione è al suo culmine, trionfante e apparentemente invincibile e irreversibile.
I Wu Ming ce la raccontano dal basso: la prospettiva più efficace per un racconto trasversale, in cui sono in scena attori secondari come la magliara Marie Noziére, leggende dimenticate come quella di Scaramouche l’Ammazzaincredibili, epigoni di un già all’epoca screditato Mesmer.
Al centro di questo obiettivo eccentrico sono proprio le teorie sul magnetismo, e i personaggi che le sostengono: rappresentano in piccolo, sia metaforicamente che fuori di metafora, il senso profondo del conflitto universale tra rivoluzione e controrivoluzione: e del resto l’ospedale dei pazzi, in cui ciascun alienato interpreta uno dei grandi attori della scena politica francese, è una riproduzione in sedicesimi della rivoluzione, “la Grande Parodia” come la definisce il personaggio che all’inizio della vicenda si fa chiamare Laplace. È proprio lui, il nostro antagonista, a sintetizzare efficacemente i termini del conflitto: “La controrivoluzione non è l’opposto di una rivoluzione: la controrivoluzione è una rivoluzione opposta”.
Filtrata dai suoi occhi, d’altra parte, la teoria del magnetismo è in radicale opposizione con le conquiste della rivoluzione: se questa è consistita nel dare dignità e voce al popolo (che non a caso è la voce narrante della storia), il sonnambulismo ha come scopo assoggettare il popolo alla volontà e agli interessi di pochi: dunque non è neppure soltanto lo strumento per ottenere la controrivoluzione, ma è esso stesso la controrivoluzione.
E ancora, come questo utilizzo del magnetismo ha pur sempre origine nel progredire di una teoria originariamente destinata a liberare i pazienti dal dolore, così la rivoluzione contiene già in sé i semi della controrivoluzione. Tutto sta nel riconoscerli e combatterli.
È quello che cercano di fare i protagonisti, ciascuno a suo modo: Marie Noziére abbracciando gli ideali delle “amazzoni rivoluzionarie”, Léo Modonnet vestendo i panni del vendicatore mascherato, Orphée D’Amblanc percorrendo un vero e proprio viaggio all’inferno, a metà strada tra la giungla di Cuore di tenebra e le avventure dell’inquisitore Eymerich, alla ricerca del suo antagonista.
Alla fine però, nonostante i loro sforzi – è Storia, non spoiler – vince la controrivoluzione. Perché la rivoluzione, o la si fa fino in fondo, o finisce per preparare il riflusso, il movimento opposto: “era un’onda che monta, travolge tutto e poi si ritira, portandosi via ogni cosa“. Anche la ghigliottina, in fondo, non è che uno strumento: se non è usata contro i re, lo sarà contro i regicidi.
L’Armata dei Sonnambuli è un romanzo eccezionale: è una miniera di invenzioni stilistiche geniali (la prossima volta che andrò a Parigi mi aspetterò che al mercato si parli il ferrarese), con una cura straordinaria delle immagini (la galleria di nasi nell’incipit, il naso a rostro di Scaramouche contro il naso mozzato che contrassegna i cattivi, per contrappasso), una ricerca e una successiva operazione di cucito delle fonti originali, entrambe da prendere come esempio. In mezzo, per la gioia dei lettori, un campionario di citazioni e suggestioni, da Evangelisti a Conrad, appunto, passando per Lady Oscar (come non pensare a lei leggendo la descrizione di Claire Lacombe) fino alle leghe di supereroi (il magnetista, il vendicatore mascherato e… Wolverine!) Piange il cuore all’idea che, stando alle loro dichiarazioni, i Wu Ming non scriveranno più nulla del genere.
E pure se in fondo racconta la storia di una controrivoluzione, di un’occasione persa, di una colossale sconfitta, il messaggio è inequivocabilmente ottimista: è valsa la pena di fare la rivoluzione, anche se poi ce l’hanno sbattuta nei denti, anche se “troverai sempre qualcuno che dice di no, si tratti del senno di poscia (troppo facile) o del senno dei servi (più facile ancora). Fosse per quelli così, non si farebbe mai una sega. Noi abbiamo provato a costruire la torre, ricordi? La torre che permettesse di sguardare il mondo, e i tiranni del mondo cadere dabbasso.”
Per quanto oggi, ovunque ci si giri, sembra di riconoscere il senno di poscia e il senno dei servi (più facile ancora), dobbiamo ricordarci che le cose cambiano in fretta, e cambiano sempre. Allora ripenseremo a quest’epoca con le parole di Claire Lacombe:
Ricordo bene quegli anni. Ci si lamentava che nulla accadeva, e si pensava impossibile che qualcosa accadesse. Eravamo ciechi … Non so quanto tempo ci vorrà, Marie, perché noi si sia davvero libere. So solo che accadrà, prima o poi.
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