Prima di partire per Lucca, una carrellata veloce, giusto per non perdere l’abitudine.
LIBRI
Jonathan Littell, Le benevole – * * * *
Ho scritto un commento così lungo su questo romanzo affascinante e inquietante come pochi altri che abbia mai letto, che lo pubblicherò a parte. Per ora, sia sufficiente il voto, approssimato per difetto: per finirlo c’è voluta un’estate, anche per la necessità di interromperlo di tanto in tanto, ma ne è valsa decisamente la pena.
Alan Moore e Kevin O’Neill, La Lega degli straordinari gentlemen – Black Dossier – * * * *
Prosegue con un passo indietro temporale rispetto al terzo volume la favolosa cavalcata di Alan Moore nell’immaginario fantastico britannico dall’Ottocento ai giorni nostri. Black Dossier è ancora più geniale degli altri episodi per la struttura della narrazione, presentato come un insieme di documenti di provenienza e forma disparata, dalla pièce teatrale (uno Shakespeare censurato e inedito) al racconto popolare in versi, e perfino una sezione 3D con tanto di occhialini annessi: una gioia anche per gli occhi! Le stelline sono quattro e non cinque perché il finale non mi ha convinto del tutto, ma non posso fare spoiler.
FILM
Patrick Hughes, I mercenari 3 – * * *
Qui ce la caviamo velocemente: siamo di fronte al classico cagatone da guardare a cervello rigorosamente spento, senza alcuna aspettativa ma con il solo scopo di contare le esplosioni e gli ammazzamenti e ridere alle battutacce (peraltro scritte da Sylvester Stallone, che ha pur sempre ottenuto una nomination all’Oscar per la sceneggiatura, sia pure quarant’anni fa). E in effetti esplosioni, ammazzamenti e battutacce non mancano di certo, solo mi sembrano un po’ meno e un po’ più scarse che nei due precedenti. Fa lo stesso. La trama, non me la ricordo: fa lo stesso anche questo.
Hayao Miyazaki, Si alza il vento – * * *
Non avrei mai pensato di dare lo stesso voto a I mercenari e all’ultimo (in tutti i sensi) film di Miyazaki. Il fatto è che sono rimasto molto deluso da Si alza il vento, da grande fan del maestro giapponese. Nulla da dire sugli aspetti tecnici ed estetici: è una produzione meravigliosa, l’animazione lascia senza fiato e guadagna una stellina al film. Perché se non fosse tecnicamente straordinario, per me non ne meriterebbe più di due.
Per una volta, e proprio nel suo film di addio, Miyazaki abbandona il filone fantastico (che pure fa capolino qua e là) per raccontare la vita dell’ingegnere Jiro Horikoshi, progettista dei celeberrimi caccia Zero utilizzati dall’aviazione giapponese durante la seconda guerra mondiale. Perlomeno per i canoni dello spettatore occidentale, la narrazione è sostanzialmente un’agiografia, in cui gli aspetti eticamente problematici delle scelte del protagonista, sia riguardo al suo lavoro che nella sua vita personale, sono enunciati ma sostanzialmente ignorati, e comunque risolti senza alcun dubbio in favore della “realizzazione del sogno” del progettista: costruire l’aereo perfetto.
Di fatto, considerando che l’aereo in question non è altro che un’arma letale, il film finisce per portare un messaggio militarista, completamente antitetico – e qui sta lo stupore! – a quello di tutte le altre opere di Miyazaki che affrontano il tema della guerra, da Nausicaa a Porco Rosso, passando per la serie di Conan.
Esperti di cultura giapponese mi dicono che in realtà l’interpretazione del film dovrebbe essere completamente rovesciata, che proprio una così smaccata e aproblematica descrizione della vita di Horikoshi andrebbe letta come una critica implicita, legata anche alla recente politica di riarmo del governo. Ci posso anche credere, considerato che in effetti in Giappone il film pare abbia sollevato un vespaio di polemiche e critiche dagli ambienti governativi. Ma non essendo giapponese, dubito che avrò mai voglia di riguardarlo.