Il 16 dicembre è entrata in vigore la seconda parte del Jobs Act. Per una curiosa coincidenza, alla legge delega è stato assegnato lo stesso numero, 183, della legge che nel 2010 aveva avviato questo ciclo di controriforme, il Collegato Lavoro, che ha introdotto la tagliola dei 60 giorni per impugnare i contratti precari e il limite massimo al risarcimento del danno. Un ciclo scandito anche dalla legge Fornero del 2012, che tra le altre cose ha inferto il primo colpo all’articolo 18, e dal decreto Poletti del marzo di quest’anno, che ha liberalizzato definitivamente contratti a termine e apprendistato. È una coincidenza dal valore simbolico: il Jobs Act rappresenta il culmine di questo attacco a 360 gradi a cui hanno contribuito un governo del PdL (2010), un governo “tecnico” (2012) e l’attuale governo targato PD, che ha tutte le intenzioni di chiudere il cerchio.
In realtà il decreto Poletti è l’unica parte del Jobs Act già produttiva di effetti: la legge delega appena approvata infatti, come è noto, espone solo principi generali, linee guida a cui il governo dovrà conformarsi nell’approvazione dei decreti delegati (Renzi ha annunciato che vuole regalarli al padronato per Natale, francamente mi pare improbabile). Significativamente, nessuno dei rami della riforma del lavoro del governo Renzi è stato approvato nella forma legislativa ordinaria, ma il primo mediante decretazione d’urgenza, il secondo tramite delega al governo: è un ulteriore segno, insieme alla “fiducite” che caratterizza questo governo, della deriva autoritaria imposta dalla ripresa dello scontro sociale, che spinge ad esautorare da ogni reale funzione perfino un Parlamento così poco rappresentativo e democratico, ma che in minima misura potrebbe comunque essere influenzato dal conflitto.
Ho già abbondantemente descritto i contenuti della legge delega, in particolare qui.
Ora il problema più urgente è come dare respiro e organizzare il conflitto che cova sotto la cenere, dotare i lavoratori di strumenti per comprendere quel che sta succedendo ai loro danni e agire di conseguenza, per riaprire la partita del Jobs Act (che non sarà chiusa comunque fino all’approvazione dei decreti attuativi), e per riconquistare il terreno perduto in questi anni. Creare una rete tra RSU e lavoratori in lotta di luoghi differenti che affianchi le organizzazioni sindacali, discutere nei luoghi di lavoro ed elaborare una piattaforma di rivendicazioni, un programma in grado di unificare le lotte e fare da catalizzatore per la ricostruzione del movimento dei lavoratori, su questa base approfondire e generalizzare lo sciopero per colpire realmente gli interessi del padronato: sono alcune delle proposte per riuscire a spezzare il cerchio che il governo ha provato a chiudere.