Sono piuttosto scettico, in generale sull’efficacia dell’ordinamento giudiziario come baluardo contro le ingiustizie. Ma ogni tanto capitano sentenze che hanno potenzialmente un effetto positivo per le condizioni di molti lavoratori, e mi pare utile darne pubblicità. È il caso di una sentenza della scorsa settimana, con cui la Corte Costituzionale ha ribadito la piena legittimità della norma che stabilisce la retribuzione minima per i soci lavoratori di cooperative. Per chi fosse interessato, la sentenza completa è la n. 51/2015, e si trova qui.
Cerco di spiegare i termini della questione. La legge che disciplina i rapporti di lavoro con le cooperative, nel 2001, ha stabilito che i soci lavoratori hanno diritto a una retribuzione non inferiore ai minimi previsti dalla contrattazione collettiva di settore.
Nel 2007 una nuova norma ha precisato allora che “in presenza di un pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative applicano ai propri soci lavoratori i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria“.
Questa disposizione avrebbe dovuto porre fine alla pratica estremamente diffusa, specialmente tra le cooperative più farlocche, di applicare ai propri soci i salari previste da finti “contratti collettivi” che si firmavano più o meno da sole, nell’ambito di associazioni di comodo, salari di molto inferiori ovviamente a quelli pur miserabili previsti dai contratti collettivi firmati dai sindacati confederali.
Naturalmente non è stato così: ancora oggi, nonostante i sindacati confederali abbiano accettato un consistente peggioramento delle condizioni contrattuali in cambio dell’impegno delle aziende a servirsi soltanto di cooperative che applicano il CCNL confederale, molti lavoratori, specialmente nel settore del trasporto e della logistica, sono pagati molto meno (anche 2 Euro all’ora in meno, che in un anno fanno fino a 4-5.000 Euro!) di quanto spetterebbe loro.
La Corte Costituzionale, a cui era stato sottoposto il quesito se la norma del 2007 fosse o meno conforme al principio di libertà dell’organizzazione sindacale, ha risposto in buona sostanza che il diritto dei lavoratori “ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” non c’entra un tubo con la libertà di organizzazione sindacale. Più precisamente:
nell’effettuare un rinvio alla fonte collettiva che, meglio di altre, recepisce l’andamento delle dinamiche retributive nei settori in cui operano le società cooperative, l’articolo censurato si propone di contrastare forme di competizione salariale al ribasso.
Intendiamoci, il principio non è affatto nuovo, e anzi era stato affermato già da diverse sentenze della Corte di Cassazione e del T.A.R. del Lazio, oltre che da numerosi tribunali. Una sentenza particolarmente azzeccata del Tribunale di Torino del 2011, ad esempio, aveva colto esattamente il nocciolo della questione, definendo questi accordi farlocchi come uno
strumento truffaldino delle associazioni di categoria di comodo che siglano contratti collettivi anch’essi di comodo.
Ma di sicuro la Corte Costituzionale interviene con più autorità: varrebbe la pena di diffondere la notizia di questa sentenza, anche a livello di delegati sindacali, in modo che quanti più lavoratori ipersfruttati possano rivendicare quanto spetta loro. Tra l’altro, dal momento che dei crediti dei soci lavoratori, che quasi sempre lavorano in appalto, rispondono anche le società committenti (non senza alcuni ostacoli introdotti dalla solita riforma Fornero), nella maggior parte dei casi i soldi si potrebbero recuperare per davvero e non solo sulla carta.
Poi certo, stiamo parlando di pezze, quando specialmente nella logistica l’unica soluzione davvero efficace – e pure questa comunque transitoria – sarebbe reinternalizzare i servizi appaltati alle cooperative. Ma intanto è meglio che i soliti calci nel sedere.