Entrano in vigore oggi il terzo e il quarto decreto attuativo del Jobs Act. Del quarto, in particolare (D.Lgs. n. 81/2015), abbiamo parlato qui (non si sapeva ancora l’ordine in cui sarebbero stati pubblicati!) commentando il “riassunto” pubblicato dal governo nelle settimane precedenti. Non ci sono sorprese di rilievo rispetto a quanto era stato annunciato, ma si può confermare in pieno che si tratta di una porcata, soprattutto per quanto riguarda la nuova disciplina delle mansioni, ossia il potere del padrone di spostare a piacimento il lavoratore e pure, con l’accordo di sindacalisti compiacenti, di ridurgli lo stipendio. Da oggi, dunque, niente più cause per demansionamento né per mobbing (fermo restando che le cause per mobbing avevano scarsissime chance di successo anche prima): vale tutto, o quasi.
Nel frattempo il governo ha inviato alle commissioni parlamentari l’ultimo pacchetto di decreti attuativi del Jobs Act. Come era prevedibile, la questione maggiormente discussa in questi giorni riguarda la modifica della disciplina del controllo a distanza. L’art. 4 dello Statuto dei lavoratori attualmente prevede il divieto assoluto di utilizzare impianti audiovisivi o altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. Solo nel caso in cui simili apparecchiature siano necessarie per esigenze organizzative o produttive, o per la sicurezza sul lavoro, è possibile il loro utilizzo, ma esclusivamente in base a uno specifico accordo sindacale (o, in mancanza di accordo, su indicazione dell’Ispettorato del lavoro). Il principio, per quanto ampiamente svenduto in passato da pessimi accordi sindacali, è quello per cui la tutela della riservatezza, e dunque della personalità del lavoratore viene prima di qualsiasi interesse aziendale, tanto che per limitarla è richiesta una forma di autorizzazione da parte di soggetti che hanno il compito di rappresentare e tutelare i lavoratori. La norma attuale non prevede alcuna eccezione a questo principio: consentire delle deroghe ne cancellerebbe del tutto la funzione, aprendo la strada a ogni sorta di abuso, e in generale permetterebbe al datore di lavoro di esercitare un potere assoluto sulla stessa vita dei propri dipendenti.
Questo è esattamente lo scopo della riforma, che dopo aver richiamato il vecchio principio lo cancella in tre righe, precisando che “non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze”. Oltretutto, prosegue la bozza di decreto, le informazioni raccolte in questo modo “sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro”, dunque anche per irrogare sanzioni disciplinari.
Probabilmente non è neppure questo, d’altra parte, il pericolo principale. In un sistema che già tollera un’ampia gamma di discriminazioni, purché il padrone abbia il buon gusto di mascherarla in qualche modo rendendola impossibile da dimostrare, è chiaro che consentire al datore di lavoro l’accesso al contenuto di telefonate, dati di navigazione in rete, etc. significa esporre i lavoratori a un livello insopportabile di pressione e di ingiustizie. Lo scopo, che è il vero motivo ispiratore di tutto il Jobs Act, è quello di cancellare ogni forma di contestazione sui posti di lavoro, imponendo a colpi di precarietà, tutele crescenti, demansionamento, e ora anche con il controllo a distanza, che nessuno disturbi il manovratore.
Allo stesso tempo vengono indebolite le già scarse misure deterrenti contro gli illeciti commessi dal datore di lavoro, in particolare con la reintroduzione dello strumento della diffida da parte dell’ispettorato del lavoro che consente al padrone beccato a far lavorare persone in nero di evitare gran parte delle sanzioni se si ravvede, e in generale con una attenuazione delle sanzioni.
Gli altri schemi di decreto riguardano principalmente il sistema delle integrazioni salariali in caso di crisi aziendali (contratti di solidarietà e cassa integrazione) e quello dei c.d. “servizi per il lavoro”. In linea generale, il governo intende tagliare drasticamente le risorse per gli strumenti per la salvaguardia dei posti di lavoro esistenti: la durata massima dei trattamenti di integrazione salariale viene diminuita dagli attuali 3 a soli 2 anni.
In questo scenario, il ruolo ritagliato per i sindacati è sostanzialmente quello di cogestione delle crisi attraverso lo sviluppo dei fondi di solidarietà bilaterali, un ruolo che nelle intenzioni del governo è destinato a soppiantare quello di rappresentanza e rivendicazione.
Solo parzialmente le risorse sottratte alle integrazioni salariali vengono dirottate sull’indennità di disoccupazione, e il saldo è pesantemente negativo se si considera che dal 2017 diventerà operativa la soppressione dell’indennità di mobilità prevista dalla legge Fornero.
E anche percepire l’indennità di disoccupazione (NASpI) non è affatto scontato: il lavoratore che pure sia in regola con i requisiti contributivi dovrà rispettare un “patto di servizio personalizzato” che ricorda da vicino certi trattamenti di riabilitazione, con tanto di obblighi di firma e sanzioni per le assenze ingiustificate. L’idea, insomma, è che il disoccupato, e non il sistema economico e politico, sia colpevole della propria condizione e debba perciò riscattarsi per meritare il sussidio: un completo ribaltamento della realtà. E allo stesso tempo la disoccupazione è anche, sempre più, un business per le agenzie di somministrazione private, che si vedono regalare adesso un “assegno di ricollocazione”, vero e proprio finanziamento che sarebbe stato meglio destinato al ripristino di un collocamento pubblico efficiente ed equo.
L’unica via per riprenderci il maltolto è la lotta di classe: di certo non basterà invocare l’aiuto del Garante della Privacy.
Sono furibondo!
Ma non si tratta di una violazione evidente nonchè scandalosa dei tanto decantati “diritti umani” ed anche di quelli costituzionali?
Un controllo come questo avrebbe senso solo nel caso che dovesse applicarsi a delinquenti notori e comunque, socialmente e politicamente pericolosi: neonazisti, pedofili, mafiosi, grandi evasori fiscali, speculatori edilizi ecc. ecc.
Ti chiedo: ma anche dal punto di vista giuridico, non sarà possibile bloccare questo incubo orwelliano de noantri?
A presto
Riccardo
Sono molto scettico che il trend attuale possa essere modificato appellandosi a diritti formali o alla Corte Costituzionale. L’unico modo saranno mobilitazioni generali e organizzate, magari sul modello di quanto avverrà, prima, in paesi in cui il processo è più avanzato che da noi.
Ciao!