Qualcuno per un attimo aveva sperato che il governo bucasse la scadenza, i nove mesi dall’entrata in vigore della legge delega sulla riforma del lavoro erano scaduti il 16 settembre senza che ci fosse traccia dell’ultimo pacchetto di decreti, quello dei cui schemi avevo scritto qui.
Ogni incertezza è caduta il 23 settembre, quando sulla Gazzetta Ufficiale sono comparsi i quattro provvedimenti, datati 14 settembre e sorprendentemente rimasti nel cassetto del Presidente della Repubblica per oltre una settimana dopo la loro firma. Peggio tardi che mai.
Rispetto alle bozze che erano già state commentate le modifiche non sono molte (guarda caso, l’unica un po’ significativa è l’eliminazione di quelle poche sanzioni nuove che erano state previste dalla bozza di decreto in materia di tutela delle condizioni di lavoro, in caso di inosservanza di disposizioni esecutive impartite dagli organi di vigilanza), e l’impianto complessivo della riforma è assolutamente invariato.
Dal 24 settembre, dunque, il padronato può controllare in modo molto più pervasivo l’attività dei lavoratori (con la modifica dell’art. 4 dello Statuto), ma può essere controllato molto meno di prima dagli organismi pubblici di sorveglianza: soppressi i servizi ispettivi dell’INPS e dell’INAIL (le cui funzioni e il relativo organico sono a esaurimento) sono bloccate fino al 2017 anche le assunzioni di ispettori del lavoro; allo stesso tempo, in materia di pari opportunità e discriminazione, sono drasticamente tagliate le risorse per le Consigliere di Parità, che svolgeranno le proprie funzioni praticamente in forma di volontariato.
Se sono destinate a peggiorare le condizioni di chi perlomeno un lavoro ce l’ha, è ancora più fosco il futuro per i disoccupati, che il governo considera evidentemente come dei parassiti da cui difendersi, invece che come fasce deboli da tutelare e aiutare. Non c’è altro modo per commentare l’infinita serie di vincoli e obblighi a cui è necessario sottoporsi per poter ottenere il sussidio di disoccupazione (o meglio, il Nuovo Assegno Sociale Per l’Impiego), attraverso la stipula di un Patto di servizio personalizzato presso il Centro per l’impiego oppure, in alternativa, con un analogo programma di reinserimento gestito dalle agenzie di lavoro private.
Colpisce, ma non sorprende, il trattamento di riguardo riservato proprio alle agenzie di lavoro, destinatarie di un finanziamento statale (sottratto evidentemente alle risorse per il disastrato sistema di collocamento pubblico) che oltretutto deve essere quantificato – lo scrive senza mezzi termini il legislatore – in maniera da mantenere l’economicità dell’attività, considerando una ragionevole percentuale di casi per i quali l’attività propedeutica alla ricollocazione non fornisca il risultato occupazionale: in pratica, si sa in partenza che in una ragionevole percentuale di casi (viva l’understatement!) non ci sarà nessun ricollocamento, ma l’agenzia deve comunque guadagnarci su.
E lo stessa, presumibile, inutilità avranno anche i Patti di servizio personalizzati del Centro per l’impiego, che si ridurranno in una ragionevole percentuale di casi a umiliante sfruttamento di lavoro sottopagato, o del tutto non pagato. Tra le molteplici corvée introdotte dalla riforma va segnalato infatti l’obbligo di rispondere alla chiamata delle amministrazioni locali per svolgere, anche gratuitamente o dietro modesto assegno, attività lavorative socialmente utili: un modo come un altro per consentire ulteriori tagli alle risorse e al personale degli enti pubblici, sostituendo lavoratori normalmente stipendiati con altri che svolgono le stesse mansioni per – letteralmente o quasi – un tozzo di pane.
E che l’intento del governo sia punitivo ne confronti dei disoccupati lo conferma la sfilza di sanzioni che colpiscono chi dovesse sottrarsi anche solo a uno degli obblighi previsti dal patto di servizio o dal programma stabilito dall’agenzia di lavoro. Al punto tale che sono espressamente previste sanzioni pure per i funzionari pubblici che dovessero non applicare le sanzioni contro i disoccupati! Caso mai qualcuno si impietosisse e mostrasse una qualche solidarietà…
Con questi ultimi quattro decreti il Jobs Act è completato e si rivela essere l’ennesimo feroce atto di guerra di questo governo, e della classe dominante che rappresenta, contro i lavoratori, i giovani e i disoccupati. Il fatto che finora sia mancata una risposta all’altezza dell’attacco non significa che sarà sempre così: quando arriverà il momento buono? Meglio tardi che mai.