Cade in queste settimane il 150° anniversario della terza guerra d’indipendenza. Non è un caso che non se ne parli granché: in rete, cercando tra le testate principali, ho trovato soltanto una recensione di Paolo Mieli al saggio di Hubert Heyriès, Italia 1866. Storia di una guerra perduta e vinta. Il titolo spiega in parte la reticenza: [SPOILER] i Savoia otterranno alla fine il Veneto, ma solo grazie all’intercessione della Francia e a condizioni diplomaticamente umilianti, dopo che l’esercito regolare ha perso le battaglie decisive, principalmente a causa dell’incompetenza dello stato maggiore.
Ma il curioso esito finale non è la principale peculiarità di questa guerra, né probabilmente la ragione principale per cui viene generalmente trascurata nella retorica patriottica. Mi sembra più interessante, e sicuramente meno coerente con l’idea che ci hanno inculcato del Risorgimento come momento di assoluta unione nazionale, il fatto che venne combattuta, dal lato italiano, da due eserciti diversi e per certi aspetti contrapposti per composizione, motivazioni, leadership: da una parte, in pianura e nell’Adriatico, l’esercito regolare dei Cialdini, Lamarmora e Persano rovinosamente sconfitti a Custoza e a Lissa; dall’altra 40.000 volontari chiamati alle armi da Garibaldi, reduce dalla ferita dell’Aspromonte, che ottengono sofferte vittorie sulle montagne del Trentino ma saranno costretti a ritirarsi sul più bello dalla diplomazia sabauda, timorosa di indispettire Napoleone III.
Quello che il mito del Risorgimento ha cancellato (e anche Mieli tace) l’ha raccontato per bene invece un mio antenato, il “prozio” Raffaele Villari, che più o meno alla mia età partì con le camicie rosse e al ritorno narrò la sua storia in un libro davvero incantevole: Da Messina al Tirolo – viaggio di un uomo senza testa compilato da un uomo senza testa. Tanto per inquadrare il personaggio, ecco la sua scheda negli archivi del Ministero dell’interno, nel 1865:
Nel ’48 si mischiò fra le squadre della più abbietta gente. Fu redattore della Trappola e factotum della Società unitaria. Nel ’62, quando Garibaldi tornò in Sicilia, proclamò l’anarchia e agitò le ultime classi.
Mi piacerebbe essere ricordato allo stesso modo. Da quel che ho letto, il disprezzo con gli sbirri era assolutamente reciproco: chi glielo doveva dire che a Messina gli avrebbero intitolato la via che costeggia la Questura!
Non è l’unico paradosso postumo. Ad esempio Da Messina al Tirolo, pubblicato originariamente nel 1887, fu ristampato per l’ultima volta dalla casa editrice Sonzogno nel 1915, esplicitamente nell’ambito di una campagna di propaganda nazionalista a favore della guerra mondiale (la “quarta guerra d’indipendenza”). Nell’introduzione all’edizione tale Ettore Arculeo (che tra l’altro sarebbe morto nel 1916, a ventisei anni, proprio sul fronte del Trentino) scrive in proposito: “Io ne ho fede pienissima, o giovani, quegli eroi risorgeranno, per opera, principalmente, del volume Da Messina al Tirolo (…) La gioventù di oggi è tornata all’Ideale, i martiri dunque non rimarranno sotto il gelo della morte, ma avranno il ricordo della generazione nuova“.
Ma quelle di Raffaele non sono esattamente le parole di un eroe incondizionatamente devoto alla patria:
Eglino [i “democratici”, garibaldini e mazziniani] pel gran principio dell’Unità italiana gittarono ai piedi del trono la loro bandiera, e deponendo in un fondo di cassa il propugnato puritanismo, fidarono per la terza, o quarta volta in un ministero appassionatissimo della politica del Carciofo, e credettero in un momento divenire pane e burro con la setta dei moderati, dimenticando che fra capre e cavoli finiscono i trattati di alleanza con la perdita dei cavoli. Mazzini aggiungendo legna al fuoco con la sua lettera, fu vittima dell’amore che ha per l’Italia; e benché vittima, si atteggiò a sacerdote de’ suoi poveri discepoli, i quali senza la sua lettera avrebbero detto al Governo dei La Marmora: voi mentite per la settantesima volta. (…) Ma bisogna essere giusti, se anco Mazzini fosse taciuto, i volontari sarebbero accorsi sempre entusiasti a seguire il gran capitano del popolo [Garibaldi], il quale avrebbe dovuto accettare col beneficio dell’inventario la missione confidatagli dal Governo, il quale altro intento non aveva che neutralizzare la democrazia italiana, ed ostentare quella concordia, che va predicando da sei lunghi anni, e che si traduce in questi sensi: lasciate fare a noi, indietro canaglia!…
Dopo questa Prefazione e conclusione, il libro è il racconto in prima persona, tragicomico e autoironico, ma anche appassionato e a suo modo poetico, di come il governo abbia consapevolmente ostacolato la spedizione dei volontari, dal reclutamento chiuso con largo anticipo fino all’ordine impartito a Garibaldi di ritirarsi dal Trentino dopo averlo inutilmente, ma a caro prezzo conquistato (è qui e non a Teano che venne pronunciato – o meglio telegrafato – il famoso Obbedisco), con lo scopo di impedire che quella delle camicie rosse diventasse una guerra di popolo contro l’oppressione e per la libertà, invece che una manovra diplomatica senza principi. Raffaele accusa in buona sostanza il governo di essere il problema, non la soluzione, di essere strumento di quell’oppressione che, mentendo, dichiara di voler combattere.
Il viaggio di un uomo senza testa è anche la preziosa testimonianza che quella della “memoria condivisa” è una narrazione tossica vecchia quanto l’unità d’Italia: come il mio prozio, sono convinto che sia necessario smontarla, e credo possa servire una riflessione sul Risorgimento che altri più preparati di me potranno approfondire, magari partendo dalla “guerra civile” del 1862.
E ora scusate, torno a mischiarmi tra le squadre della più abbietta gente e ad agitare le ultime classi.
Non dimenticare l’anarchia… (Bellissimo.)
(Grazie.) La storia del coinvolgimento di Raffaele nelle vicende del 1862 (“quando Garibaldi tornò in Sicilia”) meriterebbe un romanzo, che in effetti mi piacerebbe molto scrivere. Sicuramente non era coscientemente un anarchico, credeva anzi molto nei valori unitari e statali. Era però sicuramente un pirla, di quel genere che non può non suscitare ammirazione. Se ti interessa, ti giro il pdf del suo libro.
buonasera
sono a richiedere se lei avesse foto di Raffaele Villari
Si tratta di personaggio importante e molto bene a descritto la val sabbia ed in particolare la battaglia di monte suello dove oggi sorge un ossario gestito dalla mia associazione culturale
Associazione Capitolium
a disposizione per note porgo
cordiali saluti
Ass Capitolium, Brescia
Buonasera,
di Raffaele ho una fotografia, di cui non appena possibile posso inviarle via mail una copia fotografica. La qualità è quella che è…
Un’altra immagine l’ho trovata in coda al volume di Angelo Sofia “I martiri di Fantina”, ed. EDAS, Messina, 1990.
Cordiali saluti a lei!
la ringrazio per l’informazione
le lascio mail per spedizione
infogiotto@libero.it