“Il Senato Imperiale non sarà più di alcuna preoccupazione per noi. Ho appena ricevuto la notizia che l’Imperatore ha sciolto il consiglio definitivamente. Gli ultimi resti della Vecchia Repubblica sono stati spazzati via.”
“Ehm, Eccellenza… Veramente non l’ha sciolto, ne ha solo modificato composizione e funzioni.”
“Che intendi dire? Bada, non ho tempo da perdere!”
“C’è scritto nella riforma costituzionale, il nuovo articolo 55: il Senato rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita le funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Concorre all’esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità stabiliti dalla Costituzione, nonché all’esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l’Unione europea. Per quanto riguarda la composizione, il nuovo articolo 57 prevede che il Senato è composto da 95 Senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da 5 nominati dal Presidente della Rep… dall’Imperatore.”
“Ma che significa rappresentativi delle istituzioni territoriali?”
“Che li eleggono i Consigli regionali fra i propri componenti e fra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori, anche se non è ancora chiaro il modo in cui saranno nominati. Se vuole posso leggerle il nuovo articolo 70, che spiega in che modo il Senato interverrà comunque nella funzione legislativa, anche nelle materie di competenza esclusiva della Camera, che avrà però l’ultima parola.”
“No, lascia perdere i dettagli, che tanto qui nessuno è un costituzionalista. Spiegami invece che altro cambia.”
“Be’, saranno istituite forme di referendum propositivo, non si sa come e con che limiti, e in certi casi per il referendum abrogativo il quorum sarà calcolato sui votanti alle precedenti elezioni politiche. In compenso per le proposte di legge di iniziativa popolare si triplicano le firme necessarie…”
“Ottimo. Non abbiamo bisogno di perdere tempo con queste sciocchezze.”
“…e il Governo può contingentare i tempi di approvazione della maggior parte delle leggi.”
“Mi sembra giusto. Basta con gli inutili chiacchiericci parlamentari che mettono i bastoni fra le ruote di chi deve decidere. C’è altro?”
“Non c’è più il Cnel.”
“Ah, era ora! Che roba è il Cnel, a proposito?”
“Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, un organo di consulenza del Parlamento e del Governo.”
“Non ci servono consigli! Tantomeno per fare le leggi.”
“Infine cambia il riparto di competenze tra Stato e Regioni, ma non vorrei tediarla con i dettagli del nuovo titolo V…”
“Infatti. Sintetizza.”
“Be’, in pratica aumentano le competenze statali a scapito di quelle regionali, e in ogni caso il Governo ha l’ultima parola nell’intervenire in materie di competenza regionale.”
“Mi sembra una colossale perdita di tempo. Qualsiasi attacco contro le nostre politiche sarebbe una prodezza inutil… Gghhh.”
“Trovo insopportabile la tua mancanza di fede.”
“Fener, basta così. Fener, lascialo subito. Questi bisticci sono fuori luogo. Lord Fener avrà ottenuto la vittoria del Sì al momento in cui i nuovi decreti imperiali saranno pronti. E così stritoleremo la Ribellione con un solo, rapido colpo.”
* * *
Non si può parlare del referendum costituzionale senza dar conto delle modifiche introdotte dalla riforma, e questo mi sembrava il modo più leggero per farlo. Sul sito della Camera si trova però il raffronto sinottico dei due testi, prima e dopo le modifiche, per chi volesse scendere nei dettagli. In questo gioco, Renzi dovrebbe essere l’Imperatore. In realtà può essere paragonato al massimo al progettista della prima Morte Nera, quella col buco.
Anche la forma di Stato disegnata da questa riforma mi sembra piena di buchi, perfino rispetto alle intenzioni dei suoi ideatori. Il processo legislativo rimane farraginoso e i conflitti di competenza tra Stato e Regioni provocheranno dispute infinite. D’altra parte, anche senza bisogno della riforma c’è già oggi uno sbilanciamento dei poteri in favore del governo, con l’uso disinvolto, ormai da anni, dei decreti legge e del ricorso al voto di fiducia: con questi due strumenti soprattutto abbiamo già visto approvare in poco, pochissimo tempo, riforme colossali e catastrofiche come quelle – parlo per esperienza – in materia di lavoro. Questo per dire che non credo che la riforma costituzionale costituisca una catastrofe senza rimedio, considerato che dentro la catastrofe ci siamo già fino al collo.
Io non sono tra quanti ritengono che lo Stato sia “la casa di tutti i cittadini”. Lo Stato è la casa delle classi dominanti, lo strumento con cui vengono nutriti e mantenuti i loro interessi. La forma dello Stato, oggetto della riforma costituzionale, è il modo con cui questo strumento funziona. Oggi, in Italia (e in gran parte del resto del mondo), lo Stato è l’espressione e lo strumento degli interessi del padronato: il filo conduttore di tutte le riforme degli ultimi anni, infatti, è il taglio dei diritti e dei redditi, per rendere maggiori e più certi i profitti. Una modifica della forma dello Stato che rende più veloce e sicuro questo strumento non può che portare a tagli ancora peggiori, come del resto viene chiesto a gran voce dalle istituzioni finanziarie europee e mondiali.
La modifica peraltro consiste in buona sostanza in una diminuzione ulteriore degli spazi democratici, già piuttosto inefficaci. Mantenere il Senato con funzioni importanti, ma escludendo i cittadini dalla sua elezione, significa avere una classe politica tenuta ancora meno di adesso a rendere conto del suo operato agli elettori, dunque ancora più sensibile alle pressioni dall’alto, dal governo e dalle lobby. Tra gli slogan per il Sì ce n’è uno che recita “Voglio meno politici”. In realtà non conta affatto il numero dei politici (e il costo della loro riduzione è risibile), ma esclusivamente il controllo degli elettori sul loro operato, ad esempio con un mandato sempre revocabile (non è fantascienza: era uno dei punti principali, ad esempio, della campagna per la rielezione di Corbyn nel Partito Laburista).
Anche l’attribuzione di maggiori poteri al Governo rispetto al Parlamento, e allo Stato rispetto alle Regioni, risponde alla stessa filosofia, di depauperamento degli organismi elettivi in favore di organismi nominati dall’alto, e più direttamente influenzabili dal padronato, autoctono e internazionale.
Questa è la ragione essenziale per cui tutte le istituzioni finanziarie nazionali e internazionali, e i loro portavoce nei media, sono schierati in modo compatto per il Sì: per consentire che le prossime controriforme filino via ancora più lisce. Questo dato mi pare molto più significativo rispetto al principale argomento renziano di queste ultime settimane, ossia che votare No significa votare come Salvini e Berlusconi.
Non è stupefacente che per il No siano schierate non solo le principali organizzazioni di sinistra, dalla Cgil (molto tiepidamente peraltro) all’Anpi, ma anche tutti i partiti di destra. E francamente non mi sembra un argomento sensato per votare Sì. È evidente che tutte le formazioni che hanno interesse a contrastare il governo abbiano interesse a bloccare una riforma che lo rafforzerebbe, soprattutto politicamente. Non è che quando il MSI votava contro i governi democristiani ci si stupiva che il PCI votasse come i fascisti: sono semplicemente le regole del gioco.
È giusto che il No sia, pure a sinistra, anche un voto contro il governo, dal momento che la riforma serve a consentire a questo governo, o ad altri simili, di proseguire più efficacemente con le politiche di distruzione dello stato sociale e dei diritti. La differenza la fanno proprio le politiche proposte dagli oppositori del Sì e del governo: Berlusconi & co. farebbero sostanzialmente le stesse cose di Renzi, con cui non avrebbero nemmeno grossi problemi, se non di immagine, a governare. La loro campagna, puramente strumentale, finirà il giorno dopo il referendum, quando sarà comunque garantito lo status quo, che la riforma passi o meno.
Finirà il giorno dopo il referendum anche la campagna dei vari Grillo e Travaglio, che sul piano della proposta politica si distinguono forse nelle forme, ma non nella sostanza dai poteri attuali, come dimostrano le esperienze di Roma e Torino.
Chi voterà No da sinistra, invece, non potrà fermarsi alla difesa formale della Costituzione: il giorno dopo il referendum dovrà cominciare una campagna molto più importante per riconquistare i diritti perduti, organizzandosi e pretendendo di partecipare per davvero alla cosa pubblica.