Tanto vale DJ Mondocane

La Cgil lancia un appello “a tutti i cittadini, ai lavoratori, ai pensionati ed a tutte le Associazioni democratiche affinché partecipino alla manifestazione nazionale del 17 giugno, per il rispetto dell’art. 75 della Costituzione, per difendere la democrazia e il diritto dei cittadini a decidere, per contrastare la precarietà, per un lavoro dignitoso tutelato e col pieno riconoscimento dei diritti”.

Flashback.

Il 6 maggio non erano in tantissimi in piazza San Giovanni Bosco a Roma a festeggiare con la CGIL al grido di Ha vinto il lavoro. Certo, i voucher erano stati aboliti, come chiedeva il referendum. Era stata ripristinata anche la solidarietà del committente negli appalti con l’abolizione del “beneficio di preventiva escussione”, ma questa era una questione un po’ troppo tecnica e non ne parlava quasi nessuno a parte gli addetti ai lavori. C’era perfino il DJ Mondocane sul palco, ma neppure lui riusciva a cancellare da tutti gli animi quel senso strano, un retrogusto amarognolo, come di fregatura incombente. Magari era per via del fatto che il quesito sull’articolo 18 era stato dichiarato inammissibile. Non era quello il referendum più importante?

Al ritorno, ci si consolava pensando che due su tre comunque li si era portati a casa, e poi vuoi mettere il valore simbolico della battaglia sui voucher?

Oggi.

Anzi, domani.

Un mese dopo la manifestazione per festeggiare l’abolizione dei voucher, la CGIL convoca una nuova manifestazione per protestare contro la reintroduzione dei voucher. Se non ci fossero di mezzo le condizioni di vita di centinaia di migliaia di persone, ci sarebbe da ridere.

Tutti sanno che cosa è successo: pochi giorni dopo l’approvazione della legge che aboliva i voucher, il governo ha inserito nel disegno di legge di conversione della manovrina finanziaria di primavera una nuova “disciplina delle prestazioni occasionali“, facendo rientrare dalla finestra i voucher che erano appena usciti dalla porta. Per chi vuole approfondire, il testo è qui: l’articolo è il 54-bis.

Intendiamoci, non sono proprio gli stessi voucher di prima. La limitazione principale è il tetto di 5.000 Euro all’anno “per ciascun utilizzatore, con riferimento alla totalità dei prestatori” (comma 1, lettera b) e il divieto di utilizzo di questo strumento per “gli utilizzatori che hanno alle proprie dipendenze più di cinque lavoratori subordinati a tempo indeterminato“. Questa doppia limitazione, se non altro, evita abusi da parte delle grandi aziende, come quello di cui avevo raccontato un paio d’anni fa agli amici del Collettivo Senza Slot.

Secondo il “Dossier Voucher” pubblicato dall’INPS nel 2016, però, questo tipo di utilizzo massiccio copriva meno del 10% del numero complessivo di buoni sul mercato (i dati risalgono alla fine del 2015, è verosimile che la percentuale sia aumentata nell’anno successivo, ma l’ordine di grandezza dovrebbe essere analogo). Fatta la tara anche dei voucher utilizzati per i lavori domestici (un altro 10% circa del totale nel 2015, sempre secondo lo studio) rimangono tutti gli altri: nonostante le limitazioni, si consente in sostanza a imprese di piccole e medio-piccole dimensioni (ossia gran parte del tessuto produttivo in Italia) di ricorrere in misura comunque non trascurabile a una forma di lavoro più economica – e dunque sottopagata – rispetto ai contratti di lavoro subordinato.

Chi sostiene che in questo modo si eviti il lavoro nero, mente. Le imprese che utilizzano il lavoro nero, infatti, continueranno a farlo per il semplice motivo che i controlli sono talmente scarsi che è come se non ci fossero (e sì, la possibilità di utilizzare i buoni-lavoro al posto di forme meno flessibili e senza necessità di un vero e proprio contratto consentirà agli imprenditori più smaliziati di aggirare anche i pochi controlli che vengono fatti).

Ancora una volta, la politica del governo consiste in effetti nel trasferire il rischio d’impresa dagli imprenditori ai lavoratori, trasformando in autonomi quelli che un tempo sarebbero stati subordinati, salvo poi elargire loro qualche elemosina (in gran parte a spese degli stessi “autonomi”), come con il “jobs act degli autonomi” entrato in vigore giusto ieri.

Ora, a prescindere dalle modifiche e dalle limitazioni, la manovra del governo, che dopo aver abolito i voucher per evitare il referendum, proprio nel giorno in cui il referendum si sarebbe dovuto tenere discuteva della loro reintroduzione, è ripugnante. “Uno schiaffo alla democrazia” lo chiama la CGIL, ma a me sembra proprio uno schiaffo ai lavoratori. D’altra parte, non è certamente il primo.

Il (prevedibile) comportamento del governo però rende ancora più grave l’atteggiamento tenuto dalla CGIL negli ultimi due anni: invece di organizzare delle lotte reali, ha investito ogni energia nella campagna per i referendum. Di fronte a un governo che, come ha mostrato il referendum costituzionale di dicembre, sta su con lo sputo, il più grande sindacato italiano, invece di organizzare una mobilitazione che lo facesse cadere, ha gentilmente fornito lo sputo per farlo star su. Addirittura gran parte della burocrazia sindacale ha argomentato, dopo l’insediamento di Gentiloni, che non si sarebbe dovuto andare a nuove elezioni per consentire lo svolgimento del referendum sui voucher (perfino dopo che era stato “casualmente” cassato quello sull’articolo 18!)

Questa strategia non solo non ha avvicinato di un passo la riconquista dei diritti perduti, ma è servita solo a disarmare la classe lavoratrice, lasciandola nell’apatia (“basta una firma, al massimo un voto”) e nella confusione. Perciò è giusto scendere in piazza domani, ma senza illudersi che una manifestazione serva a qualcosa, se non sarà l’inizio di una mobilitazione vera, di massa e determinata, per riconquistare i diritti dei lavoratori. Susanna Camusso e la burocrazia sindacale invece ancora adesso mettono sul tappeto ricorsi alla Corte costituzionale, alla Corte di Cassazione e al Presidente della Repubblica, in nome di un’astratta “democrazia”. Tanto vale fare appello a DJ Mondocane.

 

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