Hanno fatto un deserto e lo chiamano pace

Appena in tempo prima di partire, sono arrivati i nuovi biglietti da visita. Ho aggiunto, sotto il nome, l’indicazione avvocato dei lavoratori: forse suona peggio, ma è più accurata di avvocato del lavoro. Insomma, ho fatto il contrario del governo che a poco a poco abolisce lo Statuto dei lavoratori con l’intenzione di sostituirlo prima o poi con una fantomatica Carta del lavoro: l’idea dietro questa scelta è per pacifica ammissione quella che lavoratori e datori di lavoro siano organi di un medesimo sistema che funziona solo se tutti collaborano, facendo ciascuno la sua parte. La parte dei lavoratori è lavorare, quella dei padroni contare i soldi alla fine del mese. Uno che incarna molto bene questa concezione è Oscar Farinetti, creatore di Eataly: quando la ricercatrice Marta Fana ha criticato in diretta TV la sua concezione dell’imprenditore come un grande capofamiglia illuminato di cui i lavoratori devono fidarsi, ha minacciato di querelarla.

Se mai ne avessi avuto bisogno, ogni anno che trascorro in questa trincea, su uno dei fronti (secondari) della guerra di classe, serve a rafforzare la certezza che quest’idea copiata pari pari dall’apologo di Menenio Agrippa (lo spunto me l’ha fornito Wolf Bukowski) non solo è falsa, ma viene diffusa al preciso scopo di fregare i lavoratori: del resto serviva a questo pure all’epoca della secessione della plebe.

Quest’anno per me è stato speciale. Il mio mentore ha deciso di godersi le meritate gioie della pensione, e così mi sono trovato promosso sul campo (diciamo che sono passato da sottotenente a tenente). Stesso studio (ma stanza diversa), più spese, più responsabilità, più lavoro: finora me la sono cavata. Ora però ho proprio bisogno di staccare.

Prima, la consueta panoramica sulle controversie che mi sono passate per le mani negli ultimi dodici mesi. La “base statistica” è aumentata considerevolmente rispetto agli anni scorsi: conto quasi 90 pratiche.

Come negli ultimi anni, la parte del leone la fanno le vertenze che riguardano licenziamenti e mancato pagamento di retribuzioni: due terzi del totale, equamente suddivisi tra le due categorie. Aumenta la quota di licenziamenti in regime di “tutele crescenti”, 5 su 28 che mi è capitato di seguire: è inevitabile che la quota tenda ad aumentare con l’entrata a regime del jobs act, ma per il momento è ancora molto difficile spiegare ai lavoratori che, anche se il licenziamento verrà dichiarato illegittimo, con ogni probabilità si potrà ottenere solo una manciata di spiccioli. Parafrasando i Monty Python, nessuno si aspetta il ministro Poletti.

Poletti è quello che prima ancora del jobs act aveva iniziato a deregolamentare i contratti a termine e in somministrazione, per la gioia dei Farinetti di tutta Italia. Le controversie che riguardano l’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato ormai sono poche, a me ne sono capitate 6 in un anno (fino al 2014 erano il triplo, in percentuale) e riguardano quasi tutte lavoratori che avevano già lavorato, prima di essere assunti a termine, con contratti a progetto fasulli.

La precarietà del resto è stata tutt’altro che debellata, non solo perché ormai anche i contratti a tempo indeterminato sono di fatto precari, ma anche perché continuano a essere utilizzati abusivamente contratti a progetto (benché teoricamente aboliti dal jobs act) e altri contratti di collaborazione autonoma: lo testimonia quella decina di vertenze che riguardano la mancata qualificazione del rapporto di lavoro come rapporto subordinato.

Il resto sono soprattutto sanzioni disciplinari: uno dei tanti strumenti di pressione del padronato per imporre condizioni di sfruttamento sempre più sfrenato, il modo più semplice per aumentare i profitti.

Altro che la grande famiglia armoniosa evocata da Oscar Farinetti: hanno fatto un deserto e lo chiamano pace.

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