Mentre scrivo, in tutta la Catalogna, centinaia dei seggi che domani dovrebbero ospitare il referendum per l’indipendenza dallo Stato spagnolo sono stati occupati dai comitati per il referendum che sono sorti un po’ ovunque, nonostante la minaccia di sgombero violento da parte della guardia civil. Cominciano ad arrivare notizie dei primi feriti. Diecimila persone, pare, sono in piazza a Madrid a sostegno del diritto dei catalani a decidere della loro appartenenza nazionale. A Barcellona i vigili del fuoco (rispettiamo solo i pompieri!) hanno dichiarato che non si presteranno a compiti di repressione e si sono uniti ai manifestanti. Domani si voterà, ripete la Generalitat catalana, mentre il governo di Madrid annuncia che il referendum è annullato. La situazione sembra destinata a precipitare, anche nel sangue. Questo è il sito dei miei compagni spagnoli, che consiglio a tutti di leggere in questi giorni.
Di sicuro non era a uno sviluppo di questo tipo che pensava la Generalitat quando aveva convocato il referendum, meno di un mese fa. Dei partiti indipendentisti che costituiscono la maggioranza del Parlamento catalano solo la Candidatura de Unidad Popular appartiene al campo della sinistra, gli altri sono partiti moderati che speravano di contrattare con lo Stato centrale qualche soldo in più. Non avevano fatto i conti con il regime di Rajoy, determinato a non concedere neppure un’oncia di libertà alla regione “ribelle”.
Quattro settimane di repressione sempre più feroce, hanno provocato una reazione uguale e contraria. Se all’inizio di settembre era prevedibile una partecipazione modesta al voto, i sondaggi degli ultimi giorni non solo danno il Sì ampiamente in vantaggio, ma lasciano prevedere una partecipazione maggioritaria tra la popolazione catalana, perlomeno al netto della violenza che lo Stato spagnolo metterà in campo per impedire il voto.
Nel campo della sinistra italiana si sono ascoltate tesi ridicole. Una delle posizioni più diffuse è che si dovrebbe essere contrari al referendum perché è stato dichiarato incostituzionale dalla Corte di Madrid. È un argomento che riecheggia formalmente i peggiori uditi in occasione del nostro referendum costituzionale, lo scorso dicembre: in estrema sintesi, “la Costituzione non si tocca” (sia chiaro che ero convintamente per il No al referendum costituzionale, ma per altre ragioni molto più sensate). Un argomento che di per sé è puerile perfino se applicato alla nostra Costituzione, quella “nata dalla Resistenza“, figuriamoci applicarlo alla Costituzione spagnola, nata direttamente dalla dittatura franchista.
Chi sostiene che il referendum per l’indipendenza della Catalogna non dovrebbe tenersi, per qualsiasi ragione, non solo è fuori dal campo della sinistra, ma è proprio fuori dal campo della democrazia: il diritto all’autodeterminazione dei popoli è un principio democratico così basilare che è addirittura sancito dalla Carta delle Nazioni Unite. Per chi si dichiara marxista, poi, dovrebbe essere totalmente scontato, a prescindere che la Costituzione lo consenta oppure no.
Poi non è che si debba essere sempre favorevoli a qualsiasi processo indipendentista: molto dipende da chi lo guida e con quali ragioni, oltre che da tutto il contesto. La divisione della ex-Jugoslavia, ad esempio, pilotata dalla Germania e dagli altri imperialismi europei, aveva basi reazionarie e non ha affatto migliorato le condizioni di vita della maggioranza delle popolazioni coinvolte (senza contare le decine di migliaia di morti).
Ma se c’è un caso in cui è chiaro da che parte deve stare chiunque si consideri di sinistra, è quello della Catalogna nelle condizioni attuali. Può darsi che inizialmente l’indipendenza fosse un poco più di un vessillo innalzato dal governo catalano per nascondere le proprie magagne. Ma oggi è tutto diverso: settimane di repressione hanno creato una mobilitazione così determinata che le intenzioni iniziali sono del tutto superate, il movimento per l’indipendenza è lo sbocco naturale delle lotte contro il governo del Partito Popolare, un regime tra i più reazionari d’Europa, che in queste settimane sta mostrando il suo volto, non dissimile da quello del franchismo. La sua vittoria sarebbe un colpo determinante contro questo regime e contro la monarchia borbonica (!) e costituirebbe il volano per altri movimenti di protesta nel resto dello Stato spagnolo.
Se lunedì sarà proclamata la Repubblica catalana, da martedì i lavoratori e gli oppressi di tutta la Spagna avranno una causa in più da sostenere e un faro luminoso a cui rivolgersi.