In attesa delle avventure del giovane Han Solo, è uscito in questi giorni nelle sale il biopic dedicato a un altro grande rivoluzionario: Karl Marx. Le jeune Karl Marx, presentato nel 2017 al Festival di Berlino, ha impiegato un anno per essere distribuito in Italia, ma per quanto mi riguarda l’aspettativa non è stata delusa.
Il film racconta il periodo compreso tra il 1843 e il 1848: dall’inizio dell’amicizia e della collaborazione tra Marx ed Engels fino alla pubblicazione del Manifesto del Partito comunista. La scelta, felice, di Raoul Peck (co-sceneggiatore e regista) è stata quella di porre al centro del film le idee del protagonista, costruendo intorno a esse un vero e proprio Viaggio dell’Eroe: nella prima parte della vicenda Marx incontra quello che sarà il suo grande alleato e amico per tutta la vita, Friedrich Engels, con il quale affina le armi inizialmente contro l’opposizione borghese costituita dai “giovani hegeliani”. In questa battaglia si trova dalla stessa parte della barricata dei popolari Proudhon (il Maestro, come lo chiamano i suoi seguaci) e Weitling. Ma questi esponenti del “socialismo utopista”, così come l’anarchico Bakunin, si trasformeranno ben presto da mentori ad avversari nella lotta cruciale per l’egemonia nel nascente movimento operaio organizzato. Nella scena narrativamente centrale della pellicola Marx ed Engels sconfiggono i seguaci di Proudhon al congresso della Lega dei Giusti, che assumerà da quel momento la denominazione di Lega dei Comunisti e il famoso motto Lavoratori di tutto il mondo unitevi. La pubblicazione del Manifesto del Partito comunista è la ricompensa della vittoria, che consentirà loro non solo di spiegare ma soprattutto di intervenire efficacemente nel periodo di tumultuosi rivolgimenti che si apre con il 1848.
Pur senza appiattire il personaggio sulle sue idee, ma anzi sottolineando gli aspetti profondamente umani del protagonista nel rapporto con la moglie e con l’amico, il film rende giustizia della vera e propria ossessione di Marx per l’importanza della teoria. Nella scena più emblematica del film, il protagonista fa saltare il banco insultando Weitling e Grün (qui rappresentato come portavoce di Proudhon), entrambe voci assai più influenti della sua all’epoca, durante una riunione convocata per cercare “pochi semplici principi su cui siamo tutti d’accordo“. Nella fase in cui è necessario costruire praticamente da zero l’organizzazione del movimento operaio, è molto meglio – anzi è indispensabile – rimanere da soli ma con idee chiare piuttosto che tentare di allargare il campo scendendo a compromessi sui principi teorici, perfino con chi condivide obiettivi che possono sembrare molto simili. Non è un capriccio: senza la teoria corretta, quegli obiettivi rimarranno irraggiungibili o peggio, si allontaneranno. Anche voi sentite suonare una campanella?
In che cosa consiste la teoria di Marx ed Engels? Nei limiti consentiti da un film, Raoul Peck lo spiega con sufficiente precisione: il materialismo dialettico è riassunto nella frase con cui Marx incoraggia un’assemblea operaia a Parigi a rifiutare l’idea che il sistema capitalista sia l’unico possibile, “nulla è immutabile“, tutto cambia. L’altro pilastro è la lotta di classe, ed è Engels a sottolinearlo: non è vero che “tutti gli uomini sono fratelli“, padroni e lavoratori sono nemici irriducibili e questo conflitto è il motore della storia. Tanto basta a convincere gli operai a cambiare il nome e il motto della Lega dei Giusti, e tanto può bastare a chiarire il concetto agli spettatori.
Sull’altare della chiarezza è un po’ sacrificata l’originalità dell’esposizione, ed è questo l’unico difetto del film. Solo nella prima parte il linguaggio cinematografico è utilizzato in modo espressivo: soprattutto nella primissima scena, muta, in cui l’avvento del capitalismo e delle sue spietate leggi economiche a scapito delle vecchie istituzioni feudali è rappresentato con la carica della polizia a cavallo contro i contadini che raccolgono la legna in un bosco; e in quella dell’incontro tra Marx ed Engels, che insieme abbandonano la casa di Ruge e, dopo una fuga rocambolesca con un bel montaggio alternato, si ritrovano per non lasciarsi più: entrambi si sono staccati definitivamente dai “giovani hegeliani”, che diventeranno ben presto bersaglio delle loro critiche, per giungere da strade diverse alle medesime conclusioni sulla necessità del materialismo dialettico. Dal punto di vista cinematografico questo è il momento migliore del film, che poi prosegue senza grandi slanci visivi. Raoul Peck si gioca tutte le carte sui dialoghi e sulla stessa lingua utilizzata di volta in volta dai personaggi: alternativamente tedesco, francese e inglese, a rappresentare i “tre pilastri” su cui si basa il marxismo, filosofia tedesca, socialismo francese e pensiero economico inglese.
Il giovane Karl Marx è un film che merita di essere visto, soprattutto in lingua originale: è un valido omaggio a uno dei pensatori che più hanno indirizzato la storia contemporanea, nel bicentenario della sua nascita, ed è un’opera cinematografica ben realizzata con una storia interessante e ben raccontata; ma è anche un contributo utile a un dibattito particolarmente necessario oggi, con un movimento operaio che in gran parte del mondo (e tanto più in Italia) deve ricostruire le proprie organizzazioni dalle fondamenta.