Marchionne fottiti è il titolo di uno spettacolo teatrale andato in scena a Pavia nella primavera del 2011, ispirato a una scritta comparsa sui muri di Torino poco tempo prima e all’omonimo pezzo di Alessandra Guetta su Carmilla on line: ne scrissi all’epoca e rileggere il pezzo oggi può aiutare a orientarsi nella polemica francamente stucchevole sul presunto “cattivo gusto” delle manifestazioni di odio nei confronti del supermanager in fin di vita.
Facendo una ricerca su questo blog, scopro che il tag “Sergio Marchionne” ricorre in ben 23 articoli, la maggior parte dei quali tra il giugno 2010 (Dalla parte del manico), epoca del referendum di Pomigliano, e il novembre 2012 (Loro ci odiano, dobbiamo ricambiare), quando FIAT annunciò che avrebbe messo in mobilità 19 lavoratori dopo che la Corte d’Appello di Roma aveva giudicato illegittima la mancata assunzione dei lavoratori iscritti alla FIOM, sempre a Pomigliano.
Tra i numerosi post c’è anche la recensione del libro La strategia del maglione, in cui l’autrice Maria Elena Scandaliato provvedeva con dovizia di fonti efficacemente a smontare il mito di Marchionne “uomo della Provvidenza” spiegando come il manager fosse stato
abile e spregiudicato, certo: ma anche fortunato. Gli operai di piazza Statuto, infatti, non ci sono più. Al posto loro, si offrono lavoratori polacchi e serbi … È grazie all’esistenza di queste nuove braccia, e alla scomparsa di un’efficace cultura di lotta, che Marchionne ha potuto vincere la battaglia delle relazioni industriali italiane, riportando il padronato agli antichi fulgori del Novecento.
Spero per Maria Elena che il suo libro venga ristampato in questi giorni: meriterebbe di diventare un best seller. Il “merito” per cui Marchionne viene celebrato oggi è stato quello di saper sfruttare fino in fondo la debolezza dei rappresentanti della classe operaia italiana, imponendo la legge del più forte grazie alla minaccia della disoccupazione nei primi anni della grande crisi. L’AD della FIAT è stato un precursore, ha tracciato la strada che hanno poi percorso con successo, con la compiacenza di gran parte del mondo sindacale, governi tecnici e governi di larghe intese, e per questo è stato citato spesso anche su questo sito. Non è un caso che negli anni successivi invece non l’abbia quasi più menzionato: nel frattempo tra riforma Fornero, decreto Poletti, Jobs Act e compagnia, quella che inizialmente era una solitaria fuga in avanti nella corsa alla compressione dei diritti in nome del profitto è diventata norma per tutti i lavoratori, e non solo quelli del gruppo FIAT. Ma in quella lunga stagione “Sergio Marchionne” è stato davvero una sineddoche per “padronato italiano”, o meglio ancora per “capitalismo”.
Ironia della sorte, la notizia dell’infermità di Marchionne giunge poche settimane dopo la sentenza con cui la Cassazione ha dichiarato legittimo il licenziamento di cinque operai dello stabilimento di Nola. I lavoratori erano “colpevoli” di aver inscenato davanti ai cancelli della fabbrica, nel giugno 2014, una rappresentazione satirica in cui figurava il suicidio di un manichino-Marchionne: si era trattato di una forma di protesta in memoria della loro collega Maria Baratto, attivista sindacale morta suicida pochi giorni prima in conseguenza delle scelte aziendali di riorganizzazione e ristrutturazione. Ha scritto molto bene della vicenda Gianni Giovannelli, qui.
Con l’annuncio della malattia irreversibile e della conseguente sostituzione ai vertici del gruppo FIAT, ecco che Marchionne torna a diventare il simbolo dello sfruttamento, del nemico di classe. È questo nemico che merita il sano odio di cui parlava nel 2007 l’indimenticato Edoardo Sanguineti. Nella gioia o nel disprezzo per il manager moribondo si esprime l’augurio che la stessa sorte colpisca la classe di cui è stato acclamato rappresentante: è un sussulto di coscienza di classe. Certo da soli non “servono” a niente, ma ben vengano gli insulti perché sono il segno di una volontà di riscossa collettiva degli sfruttati contro gli sfruttatori. Una volontà potente, che cova sotto le macerie lasciate da decenni di ritirate “strategiche”, e che faticosamente cerca una strada per organizzarsi ed esprimersi, in mancanza di punti di riferimento.
È con questo sentimento che mi unisco al coro: Marchionne fottiti, di nuovo.