Tra poche ore sarò in piazza per partecipare all’appuntamento serale del Global Strike for Future, che a Milano si è sdoppiato tra mattina e pomeriggio. La partecipazione di giovani e giovanissimi, stamattina, è stata sensazionale. È fantastico che si sia diffusa tanto in così poco tempo, tra le giovani generazioni, una sensibilità spiccata per il problema climatico.
Di fronte al problema più grave e più urgente della nostra epoca, milioni di persone in tutto il mondo si stanno mobilitando alla ricerca di una soluzione. Chiedono ai governi di tutti i Paesi di ascoltarli e, soprattutto, di cambiare registro perché è evidente a tutti che il sistema economico in cui siamo immersi non è compatibile con il futuro del pianeta – o perlomeno con un futuro che veda ancora prosperare la specie umana nel suo complesso.
Questo è il dato più eclatante delle mobilitazioni: il focus non è più sulla questione delle “abitudini individuali”, su cui tanta parte del movimento ambientalista ha concentrato per decenni le proprie attenzioni, ma sul modello di sviluppo, ossia su un aspetto collettivo. Mai come oggi, è chiaro alla maggioranza dei giovani che la responsabilità dei catastrofici cambiamenti climatici, e del nulla che si è compiuto finora per contrastarli, va cercata prima di tutto nelle scelte di chi decide che cosa produrre e come produrlo.
Il prossimo passo è comprendere che non sono neppure i governi in quanto tali a prendere queste scelte, ma il grande capitale privato che concentra in pochissime mani tutte le ricchezze e che controlla i mezzi di produzione, prendendo le proprie decisioni non in base agli interessi della collettività, ma in base al modo di volta in volta più efficiente per massimizzare i profitti.
La ricerca del profitto è la pietra angolare dell’intera economia mondiale, degli Stati che sono edificati per proteggerla (come in Italia, dove la libertà d’impresa è diritto tutelato dalla Costituzione e l’aumento del profitto è considerato giustificato motivo di licenziamento) e dei governi che questa ricerca devono rendere il più semplice ed efficiente possibile.
Perciò la notizia cattiva è che non c’è nessun modo di convincere i governi, né gli imprenditori, a rinunciare anche a una piccola parte dei loro guadagni per il fine superiore di salvare il pianeta. Nessun fine, nel sistema economico in cui viviamo, può essere superiore al profitto, perché su questo si basa l’intera economia.
Ecco perché è destinata a scontrarsi con la realtà l’illusione di poter risolvere il problema spingendo i capitalisti a investire nella green economy: questa spinta potrà essere efficace solo a patto di garantire all’industria privata almeno gli stessi profitti che trarrebbero da una produzione “inquinante” – e dunque garantendo la possibilità di sfruttare, magari in altro modo, lavoratori e risorse del pianeta.
Oppure – ed è la seconda illusione, che discende direttamente dalla prima – garantendo ai capitalisti privati enormi finanziamenti pubblici, che compensino i costi maggiori di una produzione ecologica. È in parole povere il Green New Deal di cui si parla in questo periodo negli USA. Ma non è altro che l’ennesimo sistema per socializzare le perdite – le spese – per privatizzare i profitti. Un sistema estremamente precario per giunta, che sottrae risorse alla collettività per regalarle all’industria privata, lasciando oltretutto sempre il pallino – l’ultima parola su cosa e come produrre – ai capitalisti.
La buona notizia è che c’è un’alternativa a tutto questo: i capitalisti non possono – per loro natura, non per ragioni morali – essere convinti; ma possono essere espropriati. I governi abbattuti. Un nuovo sistema economico basato sul controllo collettivo e dei mezzi di produzione può essere edificato: un modello in cui le scelte vengano prese democraticamente in un dibattito non più inquinato dagli interessi economici privati, ma ispirato al maggior benessere collettivo e in particolare alla sostenibilità ambientale.
Per fare tutto questo non basta nulla di meno che una rivoluzione: una necessità che comincia a farsi strada nelle coscienze di milioni di giovani. Il cambiamento sta arrivando.