Non buttiamoci giù

Wu Ming ha pubblicato all’indomani delle elezioni europee un post che condivido pienamente, con un invito a non farsi abbagliare dalle percentuali ottenute dalla Lega (e dagli altri partiti) – drogate da un astensionismo del 45% – e a spostare magari l’attenzione proprio su questo 45% che non è andato a votare: in questo bacino sono con ogni probabilità racchiuse “energie congelate”, che potrebbero entrare in scena da un momento all’altro.

È un discorso che mi convince molto, sia perché conferma le impressioni che avevo prima del voto, in particolare sullo scarso senso di “urgenza democratica” – che è alla base di molta astensione, sia soprattutto perché trova pienamente conferma nei numeri. A proposito di numeri, mi sono fatto una tabellina per confrontare i risultati delle europee con quelli delle politiche di un anno fa; non sono capace di riprodurla in formato graficamente accettabile qui, per cui mi limiterò a riassumere i dati principali:

  • il totale dei votanti è sceso di oltre 5 milioni, dai quasi 33 del 2018 a circa 27,6 nel 2019
  • il M5S ha perso oltre 6 milioni di voti, più che dimezzandoli
  • la Lega ha guadagnato circa 3,5 milioni di voti, ma i partiti di destra (contando anche Forza Italia e Fratelli d’Italia) nel loro complesso hanno guadagnato circa 1 milione di voti, con uno spostamento di poco più di 2 milioni da Berlusconi a Salvini
  • il PD ha perso circa 100mila voti, +Europa ne ha persi circa 10mila
  • La Sinistra ha ottenuto circa 450mila voti, circa 1 milione in meno della somma di Liberi e Uguali e Potere al Popolo alle politiche del 2018
  • il Partito Comunista di Rizzo ha ottenuto 250mila voti, più che raddoppiando quelli di un anno fa

Sulla base di questi dati, si possono trarre delle considerazioni interessanti.

  1. Innanzitutto che l’angoscia generalizzata (tra i non leghisti) per il violento spostamento a destra del paese non ha un vero fondamento: i voti in più della Lega vengono per due terzi da Forza Italia e probabilmente, per la parte restante, dalla componente dell’elettorato del M5S che già consideravamo di destra (che pesa per circa 1 milione di voti sui 6 persi dagli stellati). In sostanza, si tratta di un riposizionamento all’interno dello stesso schieramento, che comprensibilmente favorisce il partito che al momento è di gran lunga più incisivo.
  2. Come era ampiamente prevedibile già un anno fa, il M5S è imploso alla prova del governo: promettere di cambiare radicalmente le condizioni di vita dei ceti meno abbienti senza mettere in conto di rovesciare interamente il sistema (anzi, mettendo espressamente in conto di non intaccare rendite e profitti) è la ricetta perfetta per sparire rapidamente. A questo punto, sarà difficile che il M5S possa tornare a giocare un ruolo decisivo nel prossimo futuro: più facilmente verrà ulteriormente ridimensionato.
  3. Nessuna forza politica ha preso il posto del Movimento 5 Stelle nel rappresentare la speranza di un’alternativa allo stato di cose presente. Non il Partito Democratico, che anche se ha superato i grillini non ha guadagnato un solo voto rispetto a un anno fa – anzi ne ha perso ancora qualcuno. Men che meno le forze “tradizionali” alla sua sinistra (Rifondazione, Sinistra Italiana, etc., nelle loro varie espressioni elettorali) che hanno da tempo raggiunto la soglia della completa irrilevanza – altro che soglia di sbarramento! Il Partito Comunista ha senz’altro allargato la sua cerchia di consenso, e ha beneficiato anche dell’assenza dalla competizione di rivali come Potere al Popolo (e nel suo piccolo anche Sinistra Classe Rivoluzione): siamo lontanissimi però da una forza di massa, o credibile aspirante tale.

E adesso? Solo chi ha dimenticato il 40% di Renzi alle europee del 2014 – e la sua disfatta appena due anni dopo nel referendum costituzionale – può pensare seriamente che l’exploit della Lega coincida con la fine della civiltà. Tanto più che la situazione, economica e politica, è ancora più instabile oggi di quanto lo fosse nel 2016.

Tutta la propaganda di Salvini si basava sul fatto che le elezioni avrebbero spazzato via dal Parlamento Europeo le forze a difesa dell’austerità, e che finalmente in Italia si sarebbe fatto quel che si voleva – che nel suo caso consisteva in soldoni nell’abbassare le tasse ai ricchi, fingendo che questo potesse avere ricadute positive sui poveri. Ma, a parte il fatto che il Parlamento europeo conta in generale ben poco, questa previsione non si è affatto avverata: popolari, socialisti e liberali continuano ad avere una solida maggioranza, mentre il gruppo dei “sovranisti” conta più o meno come il due di picche. Risultato: due giorni dopo le elezioni, la Commissione Europea ha chiesto il conto al governo italiano. Salvini (con Di Maio) si è calato le braghe lo scorso autunno, lo farà anche il prossimo, se non prima.

Allora il modo migliore per arginare la Lega, e la destra in generale, è costruire un progetto politico nello spazio che oggi è rimasto vuoto: quello della sinistra (chiamiamola “radicale”, per capirci meglio). Un progetto e un programma che possa risultare credibile per quella parte di astenuti in cerca di un’alternativa valida, quella parte che lo scorso giro ha votato Cinque Stelle e questa volta è rimasta a casa. Questo progetto deve contenere necessariamente il rifiuto delle politiche di austerità, insieme alla consapevolezza che per perseguirlo è necessario rompere e rovesciare il sistema. La buona notizia è che milioni di persone, questo progetto, lo stanno cercando con sempre maggiore trepidazione.

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