Con la situazione sanitaria che diventa di giorno in giorno più delicata, la prospettiva di una chiusura generalizzata dei posti di lavoro si fa sempre più concreta.
Nell’emergenza, il governo è chiamato a prendere misure che tutelino, oltre che la salute pubblica, anche le condizioni di esistenza delle fasce più deboli della situazione, e in particolare di milioni di lavoratori dipendenti che hanno bisogno del proprio stipendio per vivere – non solo in queste settimane, ma anche in quelle che verranno quando il virus sarà stato debellato.
Servono urgentemente provvedimenti che generalizzino la Cassa Integrazione in deroga e la rendano accessibile a tutte le imprese e tutti i lavoratori, possibilmente portando al 100% della retribuzione il trattamento a carico dell’INPS per il periodo in cui il datore di lavoro è oggettivamente impossibilitato a proseguire, o è obbligato a ridurre, l’attività lavorativa. La CIG è l’unico strumento che consenta di “salvare capra e cavoli”, ossia di garantire il reddito dei lavoratori senza gravare sulle aziende che in questo momento, a causa dell’epidemia, stanno lavorando poco o nulla.
Nonostante i ripetuti annunci, nell’ultimo DPCM dell’8 marzo questa misura non c’è. Invece è espressamente prevista la “raccomandazione”
ai datori di lavoro pubblici e privati di promuovere, durante il periodo di efficacia del presente decreto, la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti dei periodi di congedo ordinario e di ferie.
Attenzione, questo non significa affatto consentire ai datori di lavoro di “ordinare” ai lavoratori di mettersi in ferie. Questo deve ritenersi comunque illegittimo, come ho spiegato qualche giorno fa.
Significa però lavarsi le mani del problema, lasciando ai rapporti di forza tra le parti la soluzione di un problema che – c’è da scommetterci – vedrà quasi sempre i lavoratori perdenti e costretti a sacrificare parte delle ferie a cui hanno diritto, “sprecandole” in un periodo in cui di certo ci sarà poco da riposarsi.
La” raccomandazione” è tanto più criminale in quanto cade in un contesto in cui già non sono pochi i casi di imprese di ogni dimensione che provano ad avvantaggiarsi della situazione a scapito dei propri dipendenti, ordinando “ferie forzate” e annunciando licenziamenti. Non si tratta solo di piccole e piccolissime aziende che lavorano a scartamento ridotto, ma anche di multinazionali come Vodafone e Abb. “Mettere in ferie” anziché in Cassa Integrazione i dipendenti significa anche scegliere, nel caso in cui l’attività non sia sospesa ma soltanto ridotta, chi lavora e chi no: la CIG infatti prevede meccanismi obbligatori di rotazione che possono invece facilmente essere elusi imponendo individualmente periodi di riposo che tali non sono.
Anziché raccomandare di promuovere le ferie, il governo pensi a estendere a tutti i lavoratori, anche quelli che al momento non ne hanno diritto (come collaboratori “autonomi” e “partite IVA”), forme efficaci di sostegno al reddito. Nessuno vuole andare in vacanza a Coronavirus.