May The 4th Be With You!
In occasione dello Star Wars Day, pubblico anche qui le mie riflessioni a freddo sull’ultimo film di Guerre Stellari, ospitate qualche mese fa su FantasyMagazine. Il film tra l’altro è disponibile da oggi su Disney+.
I miei commenti ai due film precedenti della trilogia, oltre che su FantasyMagazine, sono qui:
Tu vuo’ fa’ la Skywalker (ma si’ nata Palpatìn)
Ho impiegato una vita a riordinare i miei pensieri su L’ascesa di Skywalker: a quanto pare scrivere di un film di Guerre Stellari che non mi è piaciuto mi provoca un conflitto interiore che Kylo Ren spostati.
Il fatto è che tutte le scelte, le idee e le tematiche che avevo apprezzato nei primi due capitoli, e in particolare ne Gli ultimi Jedi, sono state non semplicemente abbandonate, ma proprio esplicitamente sconfessate. Il tutto senza altra verosimile ragione se non quella di accontentare – forse – il fandom più intransigente e meno curioso, che aveva accolto con qualche mugugno le novità dei film precedenti.
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Figli di papà
Avevo amato, ad esempio, il tema dell’affrancamento dei protagonisti dai vecchi maestri, il fallimento di questi ultimi nel loro ruolo di mentore, la necessità per una nuova generazione di eroi di cavarsela da soli. Così il risveglio della Forza in Rey era tale perché la giovane protagonista “veniva dal nulla”: nessuno le aveva insegnato come usare la Forza se non la Forza stessa. Mentre Ben Solo/Kylo Ren aveva deciso di ripudiare prima i propri nobili genitori, poi anche il suo malvagio mentore Snook, per cercare da solo la propria strada fuori dal solco tracciato dai grandi vecchi. Ne Gli ultimi Jedi questa tematica evolveva nel concetto che chiunque può essere un Jedi: concetto del tutto coerente con l’idea che la Forza sia ovunque, e rappresentato in modo straordinariamente evocativo proprio nell’immagine conclusiva dell’episodio, quella del bambino-schiavo con la “scopa-laser”.
E con una scopa-laser gli autori del capitolo finale hanno spazzato via tutte queste belle idee.
Prendiamo Rey. Dopo un intero film trascorso ad ascoltare Luke Skywalker spiegarci che “è tempo che i Jedi scompaiano” e rifiutare a più riprese di addestrarla, affermando addirittura che “la Forza non è prerogativa dei Jedi”, adesso invece riceve da Leia precisamente un addestramento da Jedi.
La spada laser che Luke aveva gettato via con noncuranza, ora torna oggetto di culto da tramandarsi di generazione in generazione (e per forza, vien da pensare, se no come si giustificano trecento Euro per una replica?). I libri della saggezza Jedi, incendiati dal fantasma di Yoda, diventano la strada imprescindibile per la soluzione del mistero (a proposito, non erano bruciati? Ho controllato e pare di no: nella serie a fumetti dedicata a Poe Dameron si scopre che Rey li aveva salvati, suppongo per consentire il loro ripescaggio nell’ultimo film.)
Soprattutto, dopo che fin da principio ci era stata mostrata la sua capacità “innata” di controllare la Forza, scopriamo che invece non era per niente innata: Rey è nientepopodimeno che la nipote dell’imperatore Palpatine. Altro che ovunque: a quanto pare, la Forza è prerogativa di poche famiglie in tutta la galassia, e si trasmette per via dinastica. Un po’ come tra i politici americani: i Kennedy, Bush padre e Bush figlio, Bill e Hillary Clinton.
Il percorso di Ben/Kylo Ren è più complesso, se non altro perché il suo arco narrativo spazia dal male al bene e lo conduce a una trasformazione radicale. Ma non si può non osservare che anche questa trasformazione, che nei primi due film era scandita dall’uccisione prima del padre e poi del mentore, alla fine della fiera passa ancora una volta attraverso i genitori: Leia che gli parla telepaticamente nel bel mezzo del combattimento con Rey, salvo lasciare al “fantasma” di Han (!) il compito di completare la conversione del figliol prodigo.
Insomma, se non hai genitori importanti, anche nell’universo di Star Wars non vai da nessuna parte.
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Oltre alle gambe c’è di più?
Fin dal primo Guerre Stellari, se c’è una caratteristica che contraddistingue la saga e la rende moderna, è che le donne valgono più di quel che sembra. Era vero per Leia, la principessa che col blaster in pugno si salva da sé; non era da meno tutto sommato – volendo citare la-trilogia-che-non-deve-essere-nominata – Padme/Amidala. Era ancora più evidente soprattutto ne Gli ultimi Jedi, in cui gli eroi maschili facevano la figura dei fessi al cospetto di donne straordinarie: su tutte, l’eroica vice-ammiraglio Holdo, che si sacrifica per salvare la Resistenza dopo aver portato il peso di decisioni impopolari ma necessarie, e la meravigliosa Rose, forse il personaggio dell’intera trilogia che più mi resterà nel cuore, con il suo coraggio e il suo messaggio di riscossa degli ultimi. Erano questi due personaggi a fare da contraltare a Poe Dameron e a Finn, a rivelare come l’eroismo dei maschi non fosse in fondo che una manifestazione di virilità e vanagloria. Una scelta coraggiosissima per un blockbuster!
I pusillanimi autori de L’ascesa di Skywalker hanno completamente rinnegato questa scelta, ristabilendo i ruoli “tradizionali” e facendo finta che nel capitolo precedente non fosse successo nulla. Così Poe, che era stato degradato da Leia per aver messo a rischio incoscientemente la sopravvivenza della Resistenza, ora lo ritroviamo direttamente generale; idem Finn – non si sa bene per quali meriti, se non quello di aver cercato prima di scappare dalla nave che affondava come uno Schettino qualunque, poi di suicidarsi in un impeto di inutile eroismo.
Rose al contrario è ridotta letteralmente a comparsa, con una o due battute in tutto il film: fa perfino un po’ pena vedere il suo amore per Finn totalmente ignorato non solo dal personaggio, ma anche dagli autori. Viene da pensare che sia andata bene al vice-ammiraglio Holdo, caduta gloriosamente prima di ricevere un trattamento altrettanto umiliante.
L’unica eccezione è Jannah, ex soldato del Primo Ordine che, dopo essersi ammutinata come Finn, ha formato una brigata di amazzoni partigiane. Brava Jannah! Non si può dire però che abbia un ruolo particolarmente rilevante.
L’altro personaggio femminile introdotto nell’ultimo capitolo della trilogia è Zorii, contrabbandiera e, a quanto pare, ex amante di Poe. Qui invece abbiamo un personaggio la cui esistenza è ridotta a mera funzione del protagonista maschile, incapace di resistere al suo fascino per più di cinque minuti di pellicola, il lasso di tempo che le occorre per passare da volerlo fare fuori a cedergli la sua unica speranza di una vita migliore.
Viene da pensare che, se avessero potuto, gli autori avrebbero sostituito anche Rey con un uomo. Ma era troppo tardi. Va detto che la protagonista è un personaggio sostanzialmente asessuato (come per certi aspetti era anche Luke nella prima trilogia, almeno una volta preso atto che Leia avesse scelto Han Solo) nei primi due film e in gran parte del terzo; soltanto una volta completata la sua formazione da Jedi acquista anche un briciolo di femminilità: in effetti è anche il suo amore a convertire Ben. Peccato che il tutto sia così edulcorato da passare quasi sotto traccia.
Quanto a Leia, per sua e nostra fortuna è un personaggio troppo importante nell’intera saga per poter essere davvero ridimensionata da un J.J. Abrams qualunque. Gli autori sono riusciti comunque a sottrarle l’autorità militare sulla Resistenza, trasferita ai due eroi maschili, lasciandole quasi solo il ruolo di madre, che a quanto pare in questo film si addice di più a una donna. È già tanto che non le abbiano fatto impugnare la scopa-laser.
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Alla fine della fiera
Avrei molto altro da dire. Molto, se non tutto, è già stato scritto in questo mese abbondante ormai trascorso dall’uscita del film. Che nel complesso è molto spettacolare e ha momenti davvero emozionanti, come la battaglia finale, con la sequenza in cui le navi alleate escono dall’iperspazio per combattere contro la flotta di Star Destroyer dei Sith: una scena a metà strada tra Dunkirk, Ready Player One e Avengers: Endgame; sarebbe bellissimo se non venisse da chiedersi dove fossero, tutti questi alleati, quando Leia chiedeva il loro aiuto alla fine del film precedente.
Alla fine il vero problema è questo: si possono perdonare dei buchi di trama in un film di Star Wars; ma è più difficile farlo sapendo che queste incongruenze le ha prodotte la scelta di semplificare, appiattire, banalizzare una storia che avrebbe potuto, anzi che sembrava poter essere migliore.
Basta, non dirò altro. Né del generale Hux che sembra un Jar-Jar Binks che ce l’ha fatta (a farsi ammazzare, per il sollievo degli spettatori); né di Palpatine redivivo, che ho apprezzato in versione zombie (qualsiasi cosa è apprezzabile in versione zombie) ma è francamente patetico in versione nonno. Neppure di Ben Solo/Kylo Ren, il personaggio complessivamente più interessante della trilogia, almeno fino alla scena del bacio con Rey (che secondo alcuni sarebbe così rimasta incinta: roba che neanche su Cioè).
Scrivevo, a proposito de Gli ultimi Jedi, che per me “il successo della nuova trilogia va misurato sulla sua capacità di mantenere un difficile equilibrio tra l’aderenza stilistica rispetto all’originale e la capacità di innovarne il contenuto.”
Giunti al termine della vicenda, possiamo dire che non ce l’ha fatta. Sull’altare della fedeltà alla forma dei film classici, gli autori della nuova trilogia hanno finito per sacrificare nel capitolo conclusivo gran parte dei temi più originali che erano stati introdotti nei primi due film. Alla fine della storia, quel che resta è che tutto il cammino della protagonista aveva come scopo niente più che renderla “una Skywalker”: io la preferivo cercatrice di rottami.