In questi tre giorni dalla sua faticosissima pubblicazione, mi sono preso la briga di leggere, sia pure velocemente nelle parti che mi interessavano meno, il “Decreto Rilancio”. Se volete farlo anche voi, questo è il link al sito della Gazzetta Ufficiale. È un provvedimento ancora più lungo e articolato del “Cura Italia”, con stanziamenti complessivi per oltre 100 miliardi di Euro. Vediamo dove finiranno questi soldi, ma un sospetto potreste già averlo…
Il sostegno alle imprese …
Dopo un primo titolo dedicato alle misure sanitarie in senso stretto, che lascio al commento di chi è più competente di me, il secondo titolo è dedicato al “sostegno alle imprese”, cioè al denaro elargito direttamente al padronato, sotto forma di esenzione dalle imposte (per un totale di 4 miliardi di Euro) o di credito d’imposta (altri 5,5 miliardi di Euro, variamente suddivisi: per rimborso delle spese di locazione, per investimenti vari, per adeguamento degli ambienti di lavoro).
Il governo inoltre predispone un fondo denominato “Patrimonio Destinato” che sarà finanziato con un’enorme quantità di debito pubblico – fino a 44 miliardi di Euro! – e sarà impiegato “per il sostegno e il rilancio del sistema economico e produttivo italiano”, e in particolare in favore di aziende con fatturato superiore ai 50 milioni di Euro (con esclusione dei settori bancario, finanziario e assicurativo). In buona sostanza, il governo si prepara a nazionalizzare le perdite delle grosse aziende in crisi, salvo consentire, non appena possibile, di tornare a privatizzare i profitti.
Il grosso dei finanziamenti alle imprese però curiosamente è inserito nel titolo successivo, che in teoria sarebbe dedicato alle misure in favore dei lavoratori: ai datori di lavoro che hanno esaurito le nove settimane già previste dal “Cura Italia” è consentita l’estensione del trattamento di integrazione salariale (FIS) e della cassa integrazione ordinaria, straordinaria e in deroga per ulteriori cinque settimane tra giugno e luglio, più altre quattro tra settembre e ottobre. Il tutto, senza necessità di alcun accordo sindacale, e quindi senza nessun controllo sul rispetto dei criteri di rotazione e di suddivisione equa del lavoro.
Questa misura costa alle casse dell’INPS ben 13,5 miliardi di Euro. Naturalmente è vero che questi soldi finiscono nelle tasche dei dipendenti – per quanto con un paio di mesi di ritardo, come tragicamente emerso nelle scorse settimane – tuttavia a beneficiarne sono le imprese, che in questo modo evitano di pagare gli stipendi: per dirla tutta, nel conto vanno messi non soltanto i 13,5 miliardi a carico dell’INPS, ma anche una quota significativa che di fatto ci mettono i lavoratori, dal momento che dall’istituto previdenziale percepiscono non più dell’80% dello stipendio.
In cambio, l’unica vera imposizione ai datori di lavoro è il divieto di licenziare i propri dipendenti con contratto a tempo indeterminato, che viene prolungato fino al 17 agosto: ovviamente si parla solo dei licenziamenti per ragioni oggettive o economiche. Divieto che peraltro non è difficile aggirare, da un lato inventando contestazioni disciplinari (infatti è sempre consentito il licenziamento disciplinare), dall’altro forzando il lavoratore a dare le dimissioni, magari con la promessa di riassumerlo più avanti. In questi ultimi quindici giorni, mi sono già imbattuto in diversi casi dell’una e dell’altra categoria.
In compenso, comunque, sarà consentito ai datori di lavoro di prorogare o rinnovare contratti a termine senza obbligo di causale e dunque senza limitazioni di sorta, in deroga alle già misere prescrizioni del “Decreto Dignità”.
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… e quello ai lavoratori
Nelle prime settimane dall’inizio della “Fase 2”, ma a ben vedere anche nella Fase 1 nelle numerose attività rimaste comunque aperte, i lavoratori dipendenti rientrati al lavoro hanno dovuto fronteggiare diversi problemi, tra cui spiccano il rispetto delle misure di sicurezza nei luoghi di lavoro e la cura dei figli che nel frattempo erano a casa da scuola, e ci resteranno ancora a lungo, almeno fino a settembre.
Per quanto riguarda la prima questione, ho già scritto approfonditamente dell’insufficienza dei protocolli. Nel nuovo decreto sono previsti finanziamenti per 400 milioni di Euro per favorirne l’attuazione, e ben 2 miliardi di credito d’imposta per “l’adeguamento degli ambienti di lavoro”.
Ben vengano naturalmente, per quanto si potrebbe obiettare che spetti all’imprenditore, e non alla collettività, accollarsi queste spese. Rimane però soprattutto il problema di chi controllerà che questi soldi vengano spesi correttamente, che le misure vengano implementate, che la sicurezza sia rispettata. Non è questione di poco conto, se consideriamo che solo dal 4 maggio a oggi ci sono stati non meno di quattro morti sul lavoro, senza considerare gli operai feriti a causa dell’esplosione alla fabbrica 3V Sigma di Porto Marghera. Tra gennaio e marzo, nonostante la riduzione dell’attività, gli infortuni mortali sono stati 166 (come riporta l’ultimo bollettino trimestrale dell’INAIL). Sul fronte dei controlli, tuttavia, il governo ha deciso di non spendere neppure un centesimo in più. Invece di assumere nuovi ispettori e intensificare i controlli, infatti, l’unica misura, “senza oneri per la finanza pubblica”, è incaricarne i carabinieri. C’è solo da sperare che tra i militari non si trovino altre “mele marce”, come i due carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro (tra i quali il comandante del Nucleo) arrestati la scorsa settimana a Brescia con l’accusa di “ammorbidire i controlli” e di aver anticipato a imprenditori amici le ispezioni disposte nei loro confronti.
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Come sto verificando dal mio piccolo avamposto di osservazione, il rientro al lavoro è spesso un problema quasi insormontabile per i lavoratori che hanno figli piccoli o parenti disabili da accudire.
Per questi ultimi viene rinnovata l’estensione dei permessi della legge 104, con un nuovo pacchetto di 12 giorni di cui si può usufruire tra maggio e giugno. Per gli altri giorni, trovino un badante o se sono anziani li mettano in una delle affidabilissime ed economiche RSA, in cui dovrebbero essersi liberati parecchi posti.
Per i lavoratori con figli piccoli la buona notizia è che il decreto finalmente mette nero su bianco il diritto al lavoro agile (smart working), ovviamente purché compatibile con la mansione, per tutti i genitori lavoratori dipendenti con un figlio minore di 14 anni, a patto che nel nucleo familiare non ci siano altre persone a casa (perché disoccupati o in cassa integrazione o beneficiari di altre misure di sostegno). È senz’altro un piccolo passo avanti e come tale va segnalato.
Specialmente nel caso di bambini piccoli, però non è comunque possibile conciliare lavoro a tempo pieno (anche a distanza) e cura familiare. Per questi genitori il governo prevede la possibilità di usufruire di uno specifico congedo indennizzato al 50% dello stipendio per 30 giorni complessivi fino alla fine di luglio, con uno stanziamento complessivo di 700 milioni di Euro. Finito questo periodo, l’unico beneficio concesso è il “diritto” di rimanere a casa, senza perdere il posto di lavoro ma senza retribuzione e senza neppure contributi figurativi, per tutto il periodo di sospensione dell’attività didattica e dei servizi educativi per l’infanzia.
Ci si aspetterebbe, se non altro, che il governo stia facendo ogni sforzo possibile perché le scuole riaprano a pieno regime almeno da settembre, e per fare in modo che nel frattempo siano agibili per tutti centri estivi in cui lasciare i figli in totale sicurezza. Qualche misura in effetti è stata presa: per l’apertura dei centri estivi tra giugno e settembre e per “implementare le opportunità culturali e ricreative dei minori” sono stanziati complessivamente 150 milioni di Euro in favore dei Comuni. Al fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche invece è destinata la somma di 370 milioni che dovranno bastare al potenziamento della didattica a distanza (che dunque evidentemente si prevede proseguirà anche nel prossimo anno scolastico), alla sanificazione e messa in sicurezza degli ambienti, agli interventi in favore degli studenti con disabilità, etc.. Per non farsi mancare nulla, 150 milioni di Euro sono comunque destinati alle scuole private.
Lo sforzo non sembra granché neppure sul fronte delle nuove assunzioni di personale docente: i posti messi a concorso saliranno appena di 8mila unità, dai 24mila già previsti a 32mila.
Basta confrontare queste cifre con quelle degli stanziamenti a fondo perduto per le imprese per rendersi conto della loro inadeguatezza.
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Per restare sulle cifre, ai precari (partite IVA, collaboratori a progetto e collaboratori occasionali “a ritenuta d’acconto” purché iscritti all’INPS, stagionali, intermittenti, lavoratori autonomi dello spettacolo) sono destinati complessivamente circa 4 miliardi di Euro: un bel salto rispetto al “Cura Italia”, soprattutto perché sono finalmente incluse categorie che in precedenza erano state trascurate, come gli stagionali e gli intermittenti. Ma parliamo pur sempre di un sostegno che nel migliore dei casi arriva a 600 Euro al mese per l’intero periodo di emergenza: pochi per chiunque, pochissimi per chi magari ha una famiglia da mantenere.
Vanno poi aggiunti poco più di un miliardo di Euro destinati, per metà, ai lavoratori domestici a cui spettano 500 Euro per aprile e altrettanti per maggio, e per metà per consentire il prolungamento di due mesi dell’indennità di disoccupazione dei dipendenti (NASpI) e dei collaboratori (DIS-COLL) già disoccupati che sarebbero scadute.
Infine è stanziato un ulteriore miliardo di Euro per finanziare il Reddito di emergenza: il fratello minore del Reddito di cittadinanza che vale 400 Euro al mese per una persona da sola e fino a 800 Euro al mese per nuclei familiari più ampi, e spetta ai poverissimi che non possono accedere a nessun’altra misura di sostegno.
Somme analoghe sono stanziate per piccole imprese, lavoratori autonomi e liberi professionisti: 6 miliardi di Euro destinati a indennizzare chi in aprile 2020 ha avuto ricavi o compensi di almeno due terzi inferiori a quelli dell’anno precedente. 650 milioni sono invece stanziati per un “reddito di ultima istanza” per i professionisti iscritti a casse di previdenza private (come gli avvocati) che non rientrano nelle altre misure.
È un bene che il governo si sia ricordato di categorie che erano state sostanzialmente escluse dal decreto precedente (come gli stagionali e gli intermittenti), ma è evidente che lo stanziamento è di gran lunga troppo modesto per assicurare un reddito decente a tutti quelli che ne avrebbero bisogno.
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Infine, non può mancare un cenno alla questione della “emersione di rapporti di lavoro”, ossia alla famosa “sanatoria” degli immigrati irregolari che era stata al centro delle polemiche tra le varie componenti del governo. Come sempre, tra i due litiganti a godere sono sempre e soltanto le imprese, in questo caso quelle che in passato hanno tenuto lavoratori stranieri senza permesso di soggiorno a lavorare in nero. La norma prevede in buona sostanza, ancora una volta, che il permesso di soggiorno sia vincolato al contratto di lavoro, lasciando il manico del coltello saldamente nelle mani delle imprese. Che potranno serenamente scegliere se continuare a sfruttare i “clandestini” col ricatto dell’espulsione, oppure regolarizzarli senza alcuna sanzione. Per giunta, per poter ottenere il permesso di soggiorno i lavoratori dovranno pagare di tasca propria un obolo complessivo di 160 Euro (oltre all’eventuale cresta degli intermediari). Per un’analisi più approfondita un buon punto di partenza è questo articolo su Internazionale.
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Dobbiamo rilanciare
Da questa carrellata non proprio rapida mi pare evidente che il governo intenda tutelare al massimo grado i profitti delle imprese – a costo di accollarsene le perdite e i rischi – destinando al padronato il grosso delle risorse stanziate. Ai lavoratori e in generale alle fasce più deboli della popolazione rimangono le briciole, con misure che a stento consentiranno ai più fortunati di “passare la nottata” ma lasceranno molti, compresi tanti lavoratori autonomi e le piccole imprese, esposti a una crisi che non potrà che approfondirsi.
Fa quasi sorridere, a questo riguardo, che siano stati stanziati 1,7 miliardi di Euro per attivare il “tax credit vacanze”: come se con questi 500 Euro una famiglia potesse davvero pensare di andarci, in vacanza.
Non è poi soltanto una questione di sproporzione tra i soldi destinati alle imprese e quelli destinati ai lavoratori e ai servizi pubblici in generale: intendiamoci, pure questo conta. Ma il problema fondamentale è che tutti questi soldi verranno comunque pagati dalla collettività, sotto forma di tagli e austerità nel momento in cui ci si troverà a pagare il debito contratto per stanziare questi fondi. Dunque per i lavoratori è una partita di giro; per le imprese è un regalo a spese di tutti, ossia, per la gran parte, a spese dei lavoratori.
Dovremo ricordarcelo, passato lo spavento del contagio, quando il governo (questo o il prossimo) verrà a battere cassa per ripianare i debiti, mentre gli azionisti di FCA brinderanno al dividendo straordinario ottenuto grazie al prestito con garanzia statale di 6 miliardi. Il vero rilancio lo dovranno pretendere i lavoratori, con le lotte, pretendendo che stavolta i soldi vengano presi dalle tasche del padronato.
Noto che nel Suo articolo viene completamente trascurato l’aspetto incentivi per interventi edilizi.
Dopo la lettura del documento ne ho estratto le relative pagine e ne ho evidenziato i passaggi salienti caricando il testo su cloud al link: https://drive.google.com/file/d/1VcQwworLzOss0qXa3aNW7glRwVZDrv-3/view?usp=sharing
Nel mio articolo sono trascurati moltissimi aspetti, del resto parliamo di un decreto con diverse centinaia di articoli. Mi sono concentrato sugli aspetti che riguardano il diritto del lavoro, ossia la materia di cui mi occupo.
Grazie comunque per la segnalazione.