Si dice che è quando ci mancano che apprezziamo davvero le cose. Così l’impossibilità di frequentarli mi è servita a capire quali sono quei luoghi di Milano che mi aiutano a vivere meglio in questa città che non amo (ma che forse, dopo cinque anni da quando mi ci sono trasferito, comincio ad apprezzare).
Ho deciso di rendere omaggio a questi luoghi, in segno di ringraziamento, man mano che tornerò ad andarci e cominciando oggi, il primo giorno della “Fase 3”.
L’Osteria del Biliardo – Affori
La prima volta fu nella primavera del 2013. Io abitavo ancora a Pavia, mentre Martina si era trasferita ad Affori da poche settimane e stavamo cominciando a esplorare il quartiere.
Fino ad allora, Milano per me era la zona del Tribunale, San Babila, il Duomo – dove lavoravo – e poi la periferia Ovest che avevo frequentato nei primi anni della relazione con Martina: nulla che potesse scaldarmi il cuore. Intendo Milano, non Martina.
Con l’Osteria fu un colpo di fulmine. Anche con Martina lo era stato, in effetti. Qui eviterò di fare una recensione in stile TripAdvisor: certo, se ci torno ogni due per tre è anche perché si mangia e si beve bene (parlo del vino della casa, specie il bianco, che viene dal Friuli e non è il classico veleno dei locali milanesi). E ovviamente per via del biliardo, che cominciai ad amare alla fine dell’Università e a cui non ho mai imparato a giocare bene nonostante gli allenamenti assidui con Forrest e con Sbatti.
Ma a rendermela cara, l’Osteria, è soprattutto l’idea che questo posto sia un’appendice di casa, dove arrivi a piedi e puoi andare senza preavviso una sera qualunque a bere un bicchiere, magari del magico amaro Varnelli non filtrato, mentre incroci le stecche e fai due chiacchiere con un amico, oltre che con l’oste, Erion.
Lo dico? Lo dico. L’Osteria del Biliardo è quello che per me rende Milano – o meglio Affori – un po’ più simile a Pavia. Qui ho cominciato a pensare che in fondo a Milano – o meglio ad Affori – avrei pure potuto viverci. Qui ho proposto a Martina di vivere insieme, posando su un tavolo da biliardo, al posto di una bilia, un anello di fidanzamento: era l’autunno del 2014, mi sarei trasferito la primavera successiva.
E qui ho festeggiato con i miei amici gli ultimi sei compleanni. L’ultimo è stato il più strano di tutti: era il 7 marzo, e mentre gli ospiti arrivavano – meno di quelli previsti, perché qualcuno già cominciava a rimanere a casa per evitare il contagio – si rincorrevano le notizie sul lockdown che veniva dichiarato proprio in quei minuti, con l’Italia dichiarata tutta “zona arancione”. Quella sera l’Osteria ha aperto per l’ultima volta fino alla fine di maggio, quando ha riaperto riducendo la capienza. Per il momento non si può neppure giocare a biliardo, per ovvi motivi: vedere i tre tavoli ricoperti con tavole di legno e utilizzati per il distanziamento sociale mi ha fatto un po’ impressione. Di questo passo non imparerò mai a giocare.