Ci eravamo lasciati un mese fa, con l’Ispettorato del lavoro e la Procura di Milano che ordinavano alle imprese del delivery di riqualificare i rapporti di lavoro dei rider come collaborazioni coordinate e continuative invece che come rapporti di lavoro autonomo, di applicare le tutele di legge in materia di sicurezza sul lavoro, e di pagare oltre 700 milioni di ammende.
Il 26 marzo i rider di tutta Italia hanno scioperato per rivendicare i loro diritti.
Pochi giorni dopo, due settimane fa, Just Eat ha rotto il “fronte” padronale rinnegando il contratto collettivo farlocco stipulato con Ugl a settembre e firmando un nuovo contratto integrativo aziendale con Cgil, Cisl e Uil (dal sito di Filt Cgil Lombardia si può scaricare il testo, di cui però mancano un paio di pagine).
La multinazionale riconosce che “i rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituiscono la forma comune di rapporto di lavoro” anche al suo interno, e si impegna ad assumere come dipendenti tutti i rider che hanno collaborato con Just Eat a partire da marzo 2019.
Si tratta di una conquista importante, ottenuta grazie alle pressioni dirette (mobilitazioni) e indirette (sentenze, provvedimenti legislativi e delle autorità) esercitate dai lavoratori negli ultimi anni.
Il passo avanti sia rispetto alla situazione precedente (lavoro autonomo tout court) che rispetto alle previsioni del CCNL tra Assodelivery e Ugl in vigore da ottobre, è significativo: il riconoscimento dello status di lavoratori dipendenti porta con sé un miglioramento generale del trattamento economico (con ferie, permessi, TFR, indennità di malattia e infortunio), abolisce una volta per tutte il sistema del cottimo (un incentivo all'”autosfruttamento” da parte dei lavoratori), ma soprattutto sottrae i rider al ricatto della “disconnessione”.
Un ricatto estremamente concreto, come testimoniamo le ormai numerose sentenze che hanno affrontato casi di questo tipo: l’ultima, del Tribunale di Palermo, è di ieri.
L’ingresso dei rider nella schiera dei lavoratori del trasporto e della logistica – sarà questo il CCNL applicato, per tutto ciò che non è disciplinato dall’accordo integrativo – significa anche il rafforzamento di questa intera categoria, che potrà lottare ancora più compatta per il miglioramento delle proprie condizioni di lavoro: uniti, si è più forti.
Un miglioramento indispensabile, per un settore sottoposto a pressioni fortissime anche nell’ultimo anno di pandemia, con ritmi di lavoro aumentati e stipendi rimasti al palo.
Questo per dire che la vittoria dei rider è soltanto l’inizio della guerra.
Da un lato, la lotta dovrà estendersi necessariamente ai lavoratori delle altre piattaforme. Dall’altro, lo stesso accordo integrativo non è certo privo di criticità: dai salari francamente modesti (per quanto tendenzialmente migliori dei compensi precedenti e soprattutto non più legati ai capricci di un algoritmo sconosciuto), agli orari di lavoro che prevedono il part time come “forma comune di lavoro in azienda“, alle mille forme di flessibilità consentite dalla legge e dal contratto collettivo, di cui Just Eat intende senz’altro avvalersi al punto da aver costituito una nuova società ad hoc che possa godere di tutte le deroghe previste per le start-up.
Per questa ragione l’entusiasmo delle organizzazioni sindacali firmatarie può essere condiviso solo fino a un certo punto. Una valutazione più equilibrata e condivisibile dell’accordo potete leggerla sul sito di Giornate di marzo, area programmatica di alternativa in Cgil.