(nella foto, imprenditori festeggiano la fine del blocco dei licenziamenti stracciando contratti di lavoro)
Il fatidico 1° luglio è arrivato e per una manciata di ricconi è stato come la campanella dell’ultimo giorno di scuola: finalmente liberi! Per milioni di lavoratori invece è iniziata una stagione di angoscia.
Il 30 giugno è scaduto il blocco dei licenziamenti per i datori di lavoro ricompresi nel campo di applicazione della CIGO (Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria).
Attenzione! Le imprese “libere” di licenziare sono soltanto quelle che applicano la CIGO, ossia principalmente quelle che operano nel settore industriale (l’elenco completo delle categorie lo trovate qui). Per tutte le altre (ad esempio quelle del terziario) il divieto rimane fino al 31 ottobre.
Lo scrivo in grassetto perché questa informazione piuttosto rilevante mi pare sia passata sotto silenzio su giornali e TG. A spanne, possiamo stimare che circa metà dei lavoratori (dipendenti e a tempo indeterminato) italiani sia da oggi potenzialmente licenziabile.
Ovviamente, i lavoratori veramente a rischio sono quelli più anziani e più fragili, le donne con figli, i dipendenti che devono assistere parenti disabili, quelli che per ragioni di salute sono stati spesso in malattia o sono rimasti in smart working anche quando il datore preferiva il lavoro in presenza: insomma tutti quelli che le imprese considerano un “peso” perché meno produttivi.
I padroni non vedevano l’ora di sbarazzarsene e infatti già da mesi mi arrivano sul tavolo lettere con cui il datore di lavoro comunica in anticipo al dipendente che lo considera “un esubero” e per questo motivo lo lascerà in cassa integrazione finché non potrà licenziarlo. Come certi calciatori lasciati in tribuna fino a fine stagione perché non vogliono rinnovare il contratto – solo che qui parliamo di persone e famiglie lasciate quasi letteralmente a morire di fame.
Se consideriamo che i licenziati delle prossime settimane e dei prossimi mesi si aggiungono ai 700mila posti di lavoro persi nell’ultimo anno (precari a cui non è stato rinnovato il contratto, aziende definitivamente chiuse, etc.), la parola “catastrofe” non suona inappropriata.
Di fronte a questo scenario, bisogna dire subito che la tutela legale sarà una trincea residuale e in molti casi debole. Inutile no: non mancheranno licenziamenti illegittimi (ad esempio per violazione dell’obbligo di ricollocazione, che la giurisprudenza sempre più spesso riconduce a ipotesi di manifesta insussistenza riconoscendo il diritto alla reintegrazione).
Tuttavia è chiaro che l’unica difesa realmente efficace, per i lavoratori, dipende dall’azione collettiva, soprattutto in quei settori in cui una sia pur modesta ripresa c’è. Da questo punto di vista, la risposta dei sindacati alla fine del blocco dei licenziamenti è stata finora totalmente inadeguata.
Hanno ottenuto una proroga al blocco dei licenziamenti per il comparto tessile/abbigliamento/pelletteria (meno di 300.000 occupati secondo Istat, ma neppure tutti a tempo indeterminato), e per il resto una pacca sulle spalle. L’avviso comune firmato con il governo e Confindustria recita letteralmente così:
“Le parti sociali alla luce della soluzione proposta dal Governo sul superamento del blocco dei licenziamenti, si impegnano a raccomandare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali che la legislazione vigente ed il decreto legge in approvazione prevedono in alternativa alla risoluzione dei rapporti di lavoro. Auspicano e si impegnano, sulla base di principi condivisi, ad una pronta e rapida conclusione della riforma degli ammortizzatori sociali, all’avvio delle politiche attive e dei processi di formazione permanente e continua”.”
Con il decreto pubblicato il 30 giugno il governo ha riconosciuto alle imprese nel campo di applicazione della CIGO la possibilità di accedere alla cassa integrazione straordinaria per tredici settimane fino al 31 dicembre, vincolando le sole imprese che faranno ricorso a questa misura al divieto di licenziamento. Confindustria si è impegnata a raccomandare alle sue associate di utilizzare questo strumento, prima di licenziare.
Rimane tutta da dimostrare la capacità di persuasione di Confindustria. Certo è che spacciare questo provvedimento e questo accordo come una vittoria (Il Manifesto titola “Così i sindacati hanno piegato Confindustria“) è criminale.
Per piegare il padronato ci vorrà ben altro e certo il governo non sarà nostro alleato. È sempre più indispensabile che i lavoratori si riapproprino delle loro organizzazioni e le costringano a organizzare e coordinare una nuova stagione di grandi mobilitazioni.