Da quando il “Decreto dignità“, nel 2018, ha parzialmente reintrodotto l’obbligo delle causali nei contratti a termine, il padronato non ha fatto altro che lamentarsene, millantando che se le imprese non assumono è perché non c’è abbastanza flessibilità. Una cantilena che sentiamo da almeno un quarto di secolo, con i risultati che sappiamo.
Con il pretesto della pandemia le aziende hanno ottenuto già dal maggio 2020 (con il “Decreto rilancio“) la sospensione di questo vincolo: fino al 31 dicembre 2021 la causale può essere sempre omessa, a prescindere dalla durata dei contratti.
Non era abbastanza però. Così la scorsa settimana, mentre il grande pubblico era distratto dal caldo, dal green pass e dalla riforma della giustizia, nelle pieghe della legge di conversione del “Decreto sostegni bis” è stata introdotta un’ulteriore, subdola modifica, destinata a sterilizzare ulteriormente le già misere tutele del Decreto dignità.
Alle causali previste dalla riforma del 2018 (esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero di sostituzione di altri lavoratori, ed esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria), viene aggiunta una terza ipotesi: “specifiche esigenze previste dai contratti collettivi” nazionali, territoriali o aziendali.
Si potrebbe obiettare che il compito dei sindacati è precisamente quello di tutelare al meglio i lavoratori, e che dunque la contrattazione sia la miglior garanzia che non ci saranno soprusi.
Già in tempi normali, questa obiezione si scontra con la realtà. Ma non siamo neppure in tempi normali, bensì in piena emergenza: un’emergenza che il padronato intende far ricadere sulle spalle dei lavoratori, come stanno dimostrando queste prime settimane della progressiva fine del divieto di licenziamento.
Siamo di fronte a una fase che, nelle intenzioni del padronato e di chi lo rappresenta, dovrà essere di profonda ristrutturazione del tessuto lavorativo: fuori i lavoratori più anziani, più tutelati, con stipendi più alti, basta con i contratti stabili, “protetti” dall’articolo 18. Il ricambio avverrà con contratti precari, flessibili, pagati molto meno. Il nocciolo duro, comunque, necessario, di assunzioni stabili, sarà comunque licenziabile senza troppi complimenti grazie al Jobs Act.
I sindacati, soprattutto le rappresentanze aziendali, saranno chiamati a barattare qualche soldo in più per incentivare chi viene mandato via evitando al datore il rischio di contenziosi, con causali elastiche che gli consentano di assumere a termine senza difficoltà lavoratori che saranno sempre ricattabili con la scadenza del contratto, dunque meno combattivi e meno costosi. E i sindacati, spesso, firmeranno per salvare il salvabile, non essendo abituati a lottare: ecco perché la clausola introdotta dal decreto sostegni bis è pericolosa.
Apparentemente, questa nuova causale “libera” parrebbe valida soltanto fino al 30 settembre 2022. Ma da un lato già si fanno strada fra i giuristi confindustriali interpretazioni diverse della norma; dall’altro, il passo verso il riconoscimento in via strutturale di questa deroga è davvero breve. Tanto più che un potere di deroga non dissimile (in verità assai più ampio) è già affidato agli accordi collettivi territoriali e aziendali dal famigerato articolo 8 della “Manovra di agosto” del 2011.
In pratica, è come se il governo raccomandasse alle aziende di utilizzare questa facoltà di cui finora in pochi si erano avvalsi, inserendola nel corpo stesso della disciplina dei contratti a termine. Il senso di questa “raccomandazione”, destinata a essere assai più efficace rispetto a quella di utilizzare gli ammortizzatori sociali invece dei licenziamenti, è chiarissimo. Ed è significativo che questa misura sia introdotta nella stessa legge che prevede l’ennesima pioggia di aiuti a favore delle imprese: tanto per chiarire senza incertezze da che parte stia questo governo.
L’unica strada efficace per combattere questa strategia è nell’organizzazione dei lavoratori: nello specifico si tratta di rendere i sindacati uno strumento per opporsi ad accordi al ribasso e alle liberalizzazioni dei contratti precari. In generale, si tratta di mobilitarsi per riconquistare tutti i diritti che sono stati persi negli ultimi venticinque anni.
Io, con questo, chiudo tutto per qualche settimana, per ricaricare le batterie e prepararmi a un autunno che credo sarà impegnativo. Buona estate!