Ieri notte ho assistito in streaming a gran parte dell’udienza della Federal Court of Australia sul caso Djokovic: una specie di antipasto degli Australian Open di tennis che cominciano tra poche ore. Non ho alcuna competenza nel diritto australiano né nel diritto dell’immigrazione in generale, ma sono pur sempre un avvocato e un appassionato di tennis e ho seguito il meglio possibile la vicenda. Vorrei condividere dieci spunti:
- La posizione secondo cui sarebbe sciocco indignarsi per le vicende di un unico riccone viziato che non potrà giocare un torneo di tennis, quando milioni di persone vivono tutti giorni ben altri problemi legati alla pessima gestione della pandemia, non ha alcun senso. Si può benissimo indignarsi per l’una e l’altra cosa, eventualmente anche con motivazioni diverse.
- Ad esempio, uno degli aspetti della faccenda che hanno indignato moltissime persone è stata la reclusione di Djokovic all’interno dell’ormai famigerato Park Hotel di Melbourne (“Scarafaggi in stanza e cibo avariato” – era un titolo sulla Gazzetta dello Sport di qualche giorno fa). È ragionevole sperare che almeno alcune di quelle persone abbiano esteso la loro indignazione al fatto che il Park Hotel “accoglie” normalmente non ricchi no-vax prepotenti, ma persone “colpevoli” soltanto di essere straniere. E magari anche al fatto che in strutture simili, se non peggiori, sono spesso e volentieri reclusi gli immigrati richiedenti asilo anche in Italia.
- Questo anche per dire che dei protagonisti della vicenda – Djokovic, gli organizzatori degli Australian Open di tennis e il governo australiano – il più pulito ha la rogna. Novak è uno sportivo miliardario che ha ritenuto che il suo status gli permettesse di mentire e aggirare regole stabilite per tutti (gli altri); Tennis Australia è l’associazione che ha fatto di tutto per consentire al suddetto miliardario di violare le regole pur di assicurarsi la sua partecipazione al torneo, con i connessi maggiori introiti da pubblico e sponsor; il governo australiano guidato dai conservatori del Partito Liberale, che si fa vanto della sua politica intransigente in tema di immigrazione (politica normalmente rivolta contro la povera gente, e solo accidentalmente durante la pandemia anche contro i non vaccinati) e ha voluto sfruttare l’intera vicenda a fini elettorali in vista delle elezioni del prossimo maggio. Dunque, riassumendo: un riccone viziato, un’associazione sportiva che antepone le regole del profitto a quelle dello sport, un governo reazionario.
- Lo si capisce bene, con una trasparenza che dev’essere tipica di quelle parti ma che da noi sarebbe stata impensabile, dalle modalità tecniche del provvedimento che ha deciso l’espulsione di Djokovic – provvedimento confermato dalla Federal Court (che non ha però ancora pubblicato le sue motivazioni). Novak è stato espulso non per i cavilli burocratici legati alla domanda di ingresso e ai suoi vizi formali (anzi, il primo giudice che si era pronunciato sulla questione aveva accolto il ricorso del tennista), bensì direttamente per un atto del governo e in particolare del Ministro dell’immigrazione, motivato espressamente (e, pare di capire, di fatto unicamente) dalla pericolosità sociale della permanenza del tennista nel paese.
- Infatti durante l’udienza delle questioni “burocratiche” non si è praticamente parlato. Gran parte delle arringhe dei difensori, sia di Djokovic che del governo, sono state dedicate precisamente a dimostrare come le posizioni pubbliche del tennista sul tema della vaccinazione costituissero o meno un pericolo per l’ordine pubblico. La tesi del governo australiano è stata, né più né meno, che consentire a un personaggio famoso, che più volte ha espresso posizioni antivacciniste, di rimanere sul suolo australiano, avrebbe fomentato i no-vax locali. Tanto è bastato per decidere di espellerlo.
- L’esito della vicenda, con Djokovic espulso dall’Australia, è probabilmente quello più “giusto”. Questo non toglie che il metodo con cui è stato raggiunto, ossia con un provvedimento sostanzialmente arbitrario del governo, è inquietante (del resto, si sa che anche un orologio rotto due volte al giorno segna l’ora giusta). Oggi è capitato a un no-vax che non ha certamente bisogno della nostra compassione (sia in quanto no-vax, ma soprattutto in quanto miliardario). Ma domani può capitare a chiunque e per qualunque motivo: oppositori politici, appartenenti a minoranze, etc.
- Le persone che, nel mondo, sono soddisfatte per l’esito della vicenda, appartengono prevalentemente a una o più delle seguenti tre categorie: fanatici anti-no-vax (tipo quelli che negherebbero le cure agli antivaccinisti che si ammalano); gente indignata contro i soprusi dei ricchi e potenti (quelli che in questi giorni citano Il marchese del Grillo); tifosi di Federer e/o Nadal che non sopportano l’idea che Djokovic possa vincere più tornei del Grande Slam dei loro idoli. In linea generale, la prima motivazione è reazionaria (naturalmente si può essere contrari alle posizioni antivacciniste senza per questo perdere il senso delle proporzioni, lo spirito critico, in ultima analisi l’umanità), la seconda progressista, la terza cazzara.
- È uno degli effetti socialmente più inquietanti della pandemia il fatto che tendenze reazionarie e progressiste possano convivere nelle stesse persone, anche di molte che abitualmente si considerano di sinistra. Per quanto mi riguarda, comunque, mi definisco progressista e cazzaro.
- Si può dire tutto il male possibile del sistema giudiziario australiano (non so se se lo meriti a dire il vero), ma il fatto che le udienze siano trasmesse in streaming e accessibili a tutti è una forma di democrazia davvero notevole.
- Lo stemma dell’Australia (quello al centro e in basso dell’immagine di apertura del post), con il canguro e l’emù che reggono lo scudo araldico, è bellissimo. Fun fact: poco meno di un secolo fa gli australiani combatterono (e persero) una guerra contro gli emù. È una storia che tutti dovrebbero conoscere.