Come molti appassionati sapranno, in questi giorni si sta consumando un piccolo (ma neanche troppo) scandalo sportivo intorno all’organizzazione del torneo di tennis internazionale che si sta svolgendo a Napoli.
Si tratta di un torneo importante, inserito da quest’anno nel circuito ATP 250, ma che purtroppo è stato funestato fin da subito da una serie di difficoltà: campi sgretolati ai primi allenamenti e partite di qualificazione spostate a Pozzuoli, un nuovo campo fatto arrivare in fretta e furia da Firenze (!), tutte le partite serali sospese perché l’umidità (a ottobre, a pochi metri dal mare) rende la superficie sintetica dei campi scivolosa e pericolosa per i giocatori – dunque spettatori inferociti, calendario stravolto e figuraccia internazionale.
Il presidente del Tennis Club Napoli, organizzatore dello sfortunato torneo, ha già declinato la propria responsabilità per gran parte dei guai capitati al torneo, scaricandola principalmente sui fornitori della superficie e sulla Federazione.
Fin qui, in fondo, nulla di sorprendente. Finché mio cognato, che ringrazio, ha attirato la mia attenzione su un dettaglio gustoso.
Il presidente del TC Napoli porta il mio stesso cognome: Villari. Riccardo Villari.
Se vi suona familiare, è perché il personaggio ebbe già un suo momento di celebrità in passato. Era la fine del 2008 quando, da senatore eletto nelle file del Partito Democratico, con un vero e proprio colpo di mano era stato nominato Presidente della Commissione di vigilanza RAI con i voti della maggioranza di centrodestra, contro il candidato del centrosinistra (a cui sarebbe spettata la scelta in quanto minoranza).
Per settimane andò avanti una farsa grottesca: i vertici del PD pretesero le sue dimissioni dalla carica proditoriamente ottenuta, lui rifiutò accampando scuse, venne espulso dal partito, ma rimase ostinatamente attaccato alla poltrona fino a gennaio, quando la Commissione venne sciolta e il nome di questo Villari tornò meritatamente nell’oblio.
Fino a questi giorni, in cui mi tocca nuovamente ribadire, come già quattordici anni fa, che quest’uomo non è un mio parente.