Accordi in fa mi(nore)

Lo scorso 30 maggio, con un comunicato congiunto, le segreterie di Filcams CGIL, Fisascat CISL e Uiltucs hanno espresso “soddisfazione per un rinnovo contrattuale che, dopo 7 anni, chiude la lunga fase vertenziale, assicura incrementi salariali significativi e miglioramenti normativi per le lavoratrici e i lavoratori del settore”.

Che avevano da festeggiare?

Avevano appena firmato l’ipotesi di accordo per il rinnovo del CCNL Vigilanza privata e servizi fiduciari – contratto collettivo ormai “famigerato” dopo che negli ultimi mesi era salito più volte all’onore delle cronache per le retribuzioni talmente basse (meno di 1000 Euro) da essere dichiarate incostituzionali da numerosi giudici del lavoro. Ne ho scritto in più occasioni.

Purtroppo, a dispetto dell’entusiasmo mostrato dai sindacati firmatari, e nonostante la sponda offerta dai tribunali, il rinnovo tradisce anche le più misere aspettative.

Gli sbandierati “incrementi salariali significativi” sono 140 Euro lordi al mese (per i lavoratori inquadrati nei livelli IV e D). Che sarebbero stati una miseria anche se fossero stati erogati tutti fin da subito. Ma sono una vera e propria presa in giro dal momento che, invece, vengono spalmati in ben cinque tranche – l’ultima da aprile 2026.

E al danno si aggiunge la beffa perché da giugno 2023, in contemporanea con la prima magra tranche di 50 Euro, i lavoratori dei servizi fiduciari perderanno i 20 Euro di “copertura economica” che in teoria avrebbero dovuto compensare il mancato rinnovo del contratto.

A conti fatti, un dipendente a tempo pieno pienamente formato inquadrato nel livello D dei servizi fiduciari (“lavoratori adibiti ad operazioni di media complessità”), e dunque con anzianità di almeno 18 mesi, avrà da giugno un salario di 980 Euro (contro i 950 euro che prendeva prima) e dovrà attendere fino ad aprile del 2026 per arrivare a percepire l’intero aumento che porterà la sua retribuzione alla “ragguardevole” cifra di 1070 Euro mensili lordi.

Al netto di tasse e contributi, stiamo parlando di un salario che, anche a regime, verosimilmente non raggiungerà gli 800 Euro mensili per un lavoratore di media specializzazione che lavori 40 ore a settimana.

Di fronte a questo scenario tragico, l’eliminazione del livello di inquadramento più basso (livello F Servizi fiduciari) e la riduzione del periodo di permanenza nel (nuovo) livello di ingresso da 24 a 18 mesi valgono davvero poco, tanto più che riguarda i nuovi assunti o i lavoratori con pochissima anzianità.

Chissà se per gli altri sarà una consolazione sufficiente il cambio di denominazione – “da servizi fiduciari” a “servizi di sicurezza” – che dovrebbe “testimoniare la volontà delle parti a dare adeguata rilevanza ai servizi disarmati, richiesti sempre più dal mercato“. C’è da dubitarne.

Quanto ai presunti “miglioramenti normativi”, a oggi non è dato conoscerli, così come il testo relativo alla contrattazione integrativa che “sarà oggetto di analisi per la stesura condivisa al momento della scrittura del testo finale del contratto collettivo.” Ma date le premesse sul fronte economico, c’è poco da aspettarsi anche qui.

Se, come scrivono le segreterie dei sindacati confederali, l’ipotesi di accordo è il frutto di “anni di conflitto, mobilitazioni e scioperi”, bisogna necessariamente concludere che la generosità dei lavoratori è stata svenduta dai loro rappresentanti per un piatto di lenticchie – per giunta scondite.

Ma la verità emerge dalle parole del segretario dell’associazione datoriale ANIVP che rappresenta gli Istituti di vigilanza privata, Mario Stratta, secondo cui “la firma dell’ipotesi d’accordo è di estrema importanza per il settore in quanto porrà altresì auspicabilmente fine alla tensione giudiziale che ha caratterizzato le relazioni industriali negli ultimi mesi.

Il riferimento è alle numerose sentenze grazie alle quali i lavoratori (ma solo quelli che hanno promosso le singole cause) hanno ottenuto dai giudici aumenti anche di 300 Euro al mese, e che avendo fatto breccia nei media grazie a servizi televisivi e inchieste rischiavano di diventare “virali”.

Ciascuna di quelle sentenze era anche un atto di accusa contro i sindacati che avevano a suo tempo pattuito quelle retribuzioni, che i giudici hanno dichiarato inadeguate e insufficienti a consentire un’esistenza libera e dignitosa.

Perciò è evidente che il vero punto di incontro tra le associazioni padronali e i vertici sindacali sia stato trovato nella soglia minima ritenuta sufficiente a neutralizzare il contenzioso giudiziale.

Dopo che per anni i dirigenti sindacali hanno rinunciato alla lotta nei posti di lavoro per concentrarsi sulle iniziative giudiziarie, per una volta che i tribunali si stavano rivelando almeno in parte utili a far avanzare le istanze dei lavoratori, ecco che quegli stessi dirigenti si adoperano attivamente e a braccetto con il padronato per il sabotaggio dei ricorsi giudiziali.

È un ulteriore, tragico passo indietro nel già desolante panorama della concertazione, ed è una vergogna davvero inaudita.

Va detto peraltro che l’aumento salariale previsto dall’ipotesi di rinnovo, firmato con il sangue e sulla pelle dei lavoratori, è talmente misero che non è neanche detto che possa servire neppure a questo scopo, dal momento che non basta neppure a coprire l’inflazione degli ultimi due anni.

I lavoratori non meritano dirigenti così arrendevoli e pronti a svendere i loro diritti. È ora che si riprendano il sindacato per renderlo uno strumento di lotta efficace, a cominciare dalle “consultazioni” delle lavoratrici e dei lavoratori che saranno chiamate a esprimersi su questa pessima ipotesi di accordo, da rimandare al mittente senza nessun complimento.

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