Letture d’agosto: via dalla Middle England

Uno dei piccoli piaceri della vita è leggere un libro in tono con il posto in cui stai viaggiando. Non avendo trovato nella mia pila di letture arretrate nulla che fosse ambientato proprio in Galles, per la mia settimana in Gran Bretagna la scelta è caduta su Middle England, romanzo di Jonathan Coe (uno dei miei autori preferiti) pubblicato nel 2018: “Il romanzo della Brexit di cui avevamo bisogno“, recita una delle recensioni citate in quarta di copertina. E anche il seguito – a distanza di quindici anni, di due dei libri che di Coe ho amato di più: The Rotter’s Club (La banda dei brocchi) e The Closed Circle (Il circolo chiuso).

Ritroviamo molti dei personaggi, tutti appartenenti al ceto medio (medio-alto per alcuni) intellettuale, che nel 2010 quando inizia la vicenda hanno raggiunto la mezza età e sono più o meno affermati.

Benjamin Trotter, occhio e voce dell’autore, si è da poco ritirato a vivere in un grande cottage sulle rive del fiume Severn (abbiamo passeggiato lungo il suo estuario quest’estate a Bristol), nel bel mezzo dell’Inghilterra e del nulla: le sue uniche occupazioni sono assistere il padre da poco vedovo, ascoltare musica e affannarsi per completare il suo magnum opus autobiografico, incentrato sulla sua tuttora irrisolta storia d’amore tardoadolescenziale.

Sua nipote Sophie, ricercatrice universitaria in Storia dell’arte, a trent’anni si è ripromessa di non avere più relazioni sentimentali con colleghi troppo spesso noiosi. Quando incontra Ian, insegnante di guida totalmente refrattario all’ambiente universitario e, in generale, alla cultura (nella sua casa non ci sono libri – osserva Sophie la loro prima notte insieme), decide che è l’uomo giusto e nel giro di poco lo sposa, fra le perplessità di parenti e amici.

I due infatti apparentemente non hanno nulla in comune: intellettuale, multiculturale, londinese di adozione e ovviamente progressista – lei; tradizionalista, sciovinista, un po’ razzista e in generale nemico della “tirannia del politicamente corretto” (qualcuno ha detto “Vannacci”?) – lui.

Le loro differenze sono destinate a esacerbarsi con la campagna elettorale sulla Brexit, fino a raggiungere il punto di rottura proprio dopo (e a causa del)l’esito del referendum, che alla disperazione di Sophie – e in generale di tutti i personaggi positivi del romanzo – oppone l’esultanza sfegatata di Ian, e di tutti gli altri antagonisti.

Apparentemente non ci sono vie di mezzo, tutti sono schierati su un fronte o sull’altro in quello che viene descritto come un vero e proprio scontro di civiltà, tra una parte sana e progressista e un’altra retrograda e facilmente manipolabile, tra il Remain e il Leave.

Lo stupore e il senso di impreparazione in cui sembrano vivere costantemente Benjamin Trotter e gli altri personaggi “positivi” del romanzo sono proprio lo stupore e l’impreparazione dell’autore, prima nel constatare la profondità di questa spaccatura, e poi nell’assistere alla vittoria del Leave.

Il titolo del libro, in effetti, fa riferimento non tanto al luogo geografico in cui si svolgono gran parte delle vicende, quanto a quello che sembra essere l’auspicio di Jonathan Coe: che si trovi una Middle England, un’Inghilterra di mezzo tra i due opposti apparentemente inconciliabili, un modo di sentirsi tutti insieme “fieri di essere inglesi” al di sopra delle differenze, e senza eccessi né di intolleranza né di radicalismo.

Un po’ come durante la cerimonia inaugurale delle Olimpiadi di Londra, che occupa un intero capitolo.

O meglio ancora seguendo l’esempio di Douglas Anderton, amico e già compagno di scuola di Benjamin. Doug che da ragazzo era “quello di sinistra”, che ha fatto carriera come giornalista e opinionista per testate vicine al Partito Laburista. Doug che, dopo un matrimonio fallito con una miliardaria con tanto di villa nella dorata Chelsea, trova la sua realizzazione sentimentale nientemeno che con una parlamentare conservatrice. E mentre la figlia ribelle di Doug, Coriander, la battezza come si deve – “Tories are scum!” – Coe ci invita a non generalizzare e a empatizzare con lei: in fondo Gail è una conservatrice “moderata”, schierata dalla parte del Remain.

Una dei buoni dunque, a differenza di Coriander che a più riprese recita la parte dell’antagonista ed è descritta come una sociopatica totalmente incapace di ragionevolezza.

È appropriata dunque la conclusione della recensione del Guardian, giornale che esprime le posizioni dell’ala moderata del Partito Laburista – e in questo caso anche dell’autore:

Coe – a writer of uncommon decency – reminds us that the way out of this mess is through moderation, through compromise, through that age-old English ability to laugh at ourselves“.

Non sono sicuro in realtà che l’epilogo scelto da Coe per i suoi personaggi possa davvero considerarsi una via d’uscita valida, neppure dal punto di vista dell’autore. In fondo Benjamin, il suo alter ego, conclude il suo arco narrativo semplicemente andandosene dall’Inghilterra per sfuggire agli effetti nefasti della Brexit e ricominciare una vita altrove.

E non è priva di amarezza e rimpianto neppure la scelta di Sophie, che abbandona la carriera accademica e l’amata Londra per andare a insegnare in una fondazione privata nella desolata Hartlepool. La seguirà anche Ian, che litigando con la madre si è dimostrato un “razzista moderato” e ha meritato così non solo di riconciliarsi con la moglie, ma anche di esaudire il suo desiderio – in precedenza non condiviso – di paternità.

Al di fuori di questa malinconica apologia del compromesso e della moderazione non c’è praticamente nient’altro nel libro.

Un messaggio particolarmente deludente da parte di un autore che in molti suoi romanzi precedenti (su tutti lo splendido What a Carve Up! – in italiano La famiglia Winshaw) aveva invece saputo descrivere in modo molto acuto la crescente disuguaglianza sociale esplosa con le politiche della Thatcher prima e di Tony Blair poi: emergeva chiaramente in quei romanzi come la natura fondamentale della profonda spaccatura della società britannica fosse di classe, tra sfruttatori e sfruttati.

In Middle England Coe sembra distaccarsi completamente da questa prospettiva, e questo “peccato” ideologico si riflette nella qualità del romanzo.

Da un lato, la lettura che fornisce della Brexit è superficiale e didascalica, scritta per rassicurare un pubblico colto, ragionevolmente progressista ed europeista, più o meno benestante: “noi siamo i buoni”, sembra l’unico vero messaggio (che traspare anche da interviste come questa concessa a Huffington Post).

Dall’altro, per un romanzo che si pone dichiaratamente l’obiettivo di ricostruire in un certo dettaglio le vicende politiche della Gran Bretagna nel periodo dal 2010 al 2018, è incredibilmente vistosa l’omissione di pressoché qualsiasi riferimento a uno degli eventi più importanti che hanno caratterizzato quel periodo: l’ascesa di Jeremy Corbyn alla guida del Partito Laburista nel 2015.

We don’t speak about Jeremy“, dice a Doug il misterioso Nigel, consigliere di David Cameron. Ma sembra dirlo Jonathan Coe ai suoi lettori.

E mentre nella Gran Bretagna reale mezzo milione di giovani si iscriveva al Partito Laburista sulla base del programma radicale portato avanti dal suo nuovo leader (un programma che avrebbe consentito al Labour di ottenere, alle elezioni del 2017, appena un anno dopo la Brexit, il maggior numero di voti da vent’anni a quella parte), nella Middle England di Jonathan Coe l’unico cenno della loro esistenza è Coriander, che infatti non a caso “si è iscritta a un gruppo giovanile pro Corbyn“.

Dare conto di questo movimento (con tutte le sue contraddizioni e i suoi limiti, certamente) avrebbe minato anche tutta la morale del romanzo, se è vero che in tutta la Gran Bretagna, tra i giovani, l’affluenza al voto nel referendum fu solo di uno su tre (con schiacciante maggioranza per il Remain). A testimonianza del fatto che la spaccatura sociale raccontata da Coe non è già più attuale per le nuove generazioni.

Anche se il fenomeno-Corbyn si è esaurito, anche per la sua incapacità di resistere efficacemente all’apparato del Partito Laburista, ora tornato nelle mani della sua ala più moderata, quel processo di radicalizzazione continua, e non riguarda soltanto i giovani ma sempre più ampi settori della società britannica: lo testimonia l’ondata di scioperi che da ormai più di un anno scuotono molti servizi essenziali, dai trasporti alla sanità, e che nonostante la campagna denigratoria condotta dai mezzi d’informazione vicini al governo godono di ampio consenso.

Da questa spinta al cambiamento, anche radicale, e non certo da un atteggiamento di moderazione e compromesso, passa necessariamente la via d’uscita dal disastro in cui ci troviamo.

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