Giù le mani dal TFR!

A tutti i lavoratori dipendenti: attenzione ai borseggiatori!

No, quello che cerca di infilare le mani nelle vostre tasche non è un qualche ladruncolo sulla banchina della metropolitana: è il governo invece, che mentre siete distratti dagli ultimi piccanti scandali estivi punta a fregarvi il TFR.

Con l’avvicinarsi della manovra finanziaria, infatti, ormai da settimane si rincorrono le voci di un possibile nuovo intervento per favorire il versamento del trattamento di fine rapporto nei fondi di previdenza complementare.

Come riporta IlSole24Ore, tra le proposte in cantiere ci sarebbero l’obbligo per i neoassunti di destinare il 25% del TFR ai Fondi pensione e, per i lavoratori già in servizio, un nuovo semestre di “silenzio-assenso” scaduto il quale, in mancanza di espresso diniego, l’intero TFR sarebbe devoluto ai Fondi.

Il TFR è quella quota di retribuzione (all’incirca un mese di stipendio all’anno) che viene accantonata mensilmente per tutti i dipendenti nel corso del rapporto di lavoro, per essere poi erogata in unica soluzione alla sua cessazione.

Risale a quasi vent’anni fa il primo tentativo, promosso dal governo Berlusconi ter ma sostenuto fortemente anche dal successivo governo Prodi, di incentivare il conferimento di queste quote di salario a fondi di investimento proprio attraverso il meccanismo del “silenzio-assenso”.

Un tentativo riuscito solo in parte, nonostante la propaganda martellante in favore dei fondi pensione, descritti come un’occasione per ottenere rendimenti molto più elevati rispetto a quelli previsti dalla legge per il TFR lasciato in azienda.

A oggi, infatti, sono all’incirca 10 milioni, ossia poco più di un terzo del totale, i lavoratori che (volenti o a volte anche senza saperlo) devolvono il trattamento di fine rapporto a fondi di previdenza complementare, con un flusso annuale di circa 14 miliardi di Euro.

Un’enormità, ma non ancora abbastanza considerato il valore totale della torta.

Secondo il ministro del lavoro Marina Calderone, “uno degli elementi che ha costituito una scarsa appetibilità della previdenza complementare, soprattutto nei confronti delle giovani generazioni, è il fatto che non è stata spiegata bene, non è ben compresa”.

Viene spontaneo chiedersi perché, se è sufficiente “spiegarli bene” per assicurare il successo dei fondi pensione, dovrebbe essere necessario ottenere l’adesione dei lavoratori con la forza (l’obbligo) o con l’inganno (il silenzio-assenso).

La risposta è che, numeri alla mano, il rendimento dei fondi pensione non è affatto maggiore rispetto a quello del TFR lasciato in azienda, e in compenso a differenza di quest’ultimo (che si rivaluta annualmente dell’1,5% oltre a un ulteriore tasso variabile pari al 75% dell’inflazione) non è per nulla garantito.

Lo confermano i dati pubblicati ancora lo scorso giugno dalla Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione, ossia l’ente che esercita la “vigilanza prudenziale sulle forme pensionistiche complementari”.

Se è vero che nell’ultimo anno il rendimento medio dei fondi è risalito, allargando il periodo agli ultimi tre o cinque anni rimane considerevolmente inferiore alla rivalutazione del TFR, e su un periodo di dieci anni (ossia su “orizzonti temporali più coerenti con le finalità del risparmio previdenziale”) è sostanzialmente equivalente per quanto riguarda i fondi “bilanciati” ed è comunque inferiore per i fondi “garantiti”.

rendimento annuale ultimi 5 annirendimento annuale ultimi 10 anni
fondi negoziali garantiti0,20,8
fondi negoziali (rend. generale)2,22,4
fondi aperti (rend. generale)2,72,5
fondi PIP (rend. generale)3,62,7
rivalutazione TFR in azienda3,22,4
dati annui estratti da COVIP, La previdenza complementare, principali dati statistici giugno 2024, tav. 4

Per inciso, i dati confermano anche che non c’è di fatto alcuna differenza, né in termini di rendimento né in termini di rischio (altrettanto elevato) tra i fondi negoziali (cioè quelli co-gestiti dai sindacati) e quelli aperti, ossia gestiti direttamente dagli istituti finanziari.

In entrambi i casi per ottenere, ma solo sul lungo periodo, un rendimento leggermente superiore alla rivalutazione, occorre investire nei fondi azionari, che sono però anche quelli più soggetti a oscillazioni e dunque al rischio di perdere denaro: nel solo 2022 questo tipo di fondi aveva perso in media il 12% azzerando il rendimento dei dieci anni precedenti.

Non a caso sul sito della Covip campeggia in grassetto l’avviso che “I rendimenti sono soggetti ad ampie oscillazioni. I rendimenti realizzati nel passato NON sono indicativi dei rendimenti futuri”.

Ma perché interessa tanto al governo (e non solo a quello attuale) che i lavoratori trasferiscano il loro TFR ai fondi pensione? Non solo per realizzare un gigantesco regalo agli istituti finanziari e, in generale, per immettere capitali freschi in un mercato sempre più asfittico, ma soprattutto perché rafforzare la previdenza privata serve a giustificare i tagli alla previdenza pubblica, cioè alle pensioni: sono loro il vero obiettivo, neppure nascosto, della manovra finanziaria.

Per questa ragione è particolarmente scandaloso che anche i sindacati – in primis la CGIL – siano sostanzialmente accodati al governo nella proposta di “rilanciare le adesioni alla previdenza complementare negoziale”, limitandosi a sponsorizzare i fondi co-gestiti da loro stessi in concorrenza con quelli interamente privati – e oltretutto fornendo numeri ingannevoli e completamente scollegati dalla realtà, come il più spregiudicato dei promotori finanziari.

Occorre andare nella direzione completamente opposta: si deve difendere il diritto a pensioni pubbliche dignitose per tutti, senza che i lavoratori debbano giocarsi in borsa la liquidazione!

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