Negli ultimi giorni dell’anno è tutto un fiorire di classifiche di best of dell’anno trascorso. Chi sono io per sottrarmi a questo giochino? Eccovi i tre libri, i tre film e le tre serie TV migliori in cui mi sono imbattuto nel 2024.
LIBRI
Per questa categoria prendo in considerazione tutti i libri che ho letto per la prima volta nel 2024, a prescindere dall’anno di pubblicazione.
Vasilij Grossman, Stalingrado
Non ci sono dubbi sul vincitore di questa classifica. Stalingrado di Vasilij Grossman è di gran lunga il romanzo più straordinario che abbia letto negli ultimi anni. Ne ho già scritto qualche mese fa, passando in rassegna le mie letture estive.
Alan Woods, Storia della filosofia: una prospettiva marxista
Unico volume pubblicato nel 2024 in questo terzetto, la Storia della filosofia di Alan Woods merita senz’altro il podio.
Il merito impareggiabile di questo testo è offrire una visione d’insieme della storia delle teorie filosofiche, dai presocratici fino a Marx ed Engels, mostrando la sua evoluzione costante nell’alternarsi di approcci materialistici e idealistici, l’uno sospinto più avanti dall’altro. Non è un caso che il culmine di questa evoluzione sia l’affermazione della dialettica come modo normale di sviluppo e di funzionamento della natura e dei suoi elementi, compreso il pensiero.
È attraverso la lente della dialettica, come metodo essenzialmente contrapposto a quello della logica formale, che possiamo comprendere realmente – ben più di quanto fosse possibile quando studiavamo filosofia al liceo – il senso e soprattutto il rapporto tra le teorie di Eraclito e Parmenide, di Kant ed Hegel.
Solo la dialettica può spiegare il movimento, come dimostrano i paradossi di Zenone, dunque è nella prassi che si rivela come il metodo più adeguato per leggere il mondo. Ed è sempre nella prassi che verifichiamo la nostra capacità di osservare un mondo che esiste realmente al di fuori della nostra percezione: è sull’esistenza di questa realtà materiale, e sulla possibilità di intervenire su di essa e cambiarla, che dobbiamo fondare la nostra visione del mondo.
Dopo il marxismo, che ha affermato la necessità del materialismo dialettico, non c’è ulteriore progresso nella storia della filosofia. Non perché non sia possibile uno sviluppo della filosofia a partire dalle conquiste teoriche del marxismo, ma perché in concreto i filosofi del Novecento si sono perlopiù concentrati deliberatamente a cancellare quelle conquiste, tornando indietro a teorie vecchie di secoli invece di progredire sulla via della conoscenza.
Ultima nota personale: nelle pagine dedicate a Epicuro e Lucrezio, ho ritrovato gli argomenti che trent’anni fa mi spinsero improvvisamente e senza ripensamenti all’ateismo. L’idea di un universo infinito e di una materia che non si crea e non si distrugge è troppo più verosimile rispetto a quella di un creatore esterno all’universo, e non lascia alcuno spazio all’esistenza – neppure in forma di ipotesi – di una divinità.
A distanza di molti anni, trovo perfetta su questo punto la sintesi di Engels che allarga il campo anche all’insostenibilità di una posizione agnostica: “oggi la nostra concezione evoluzionistica dell’universo non lascia assolutamente più posto né per un creatore né per un ordinatore; e ammettere un essere supremo che stia al di fuori di tutto l’universo esistente sarebbe una contraddizione in termini e inoltre, mi sembra, un’offesa gratuita ai sentimenti delle persone religiose.“
Amen.
Alessandro Barbero, All’arme! All’arme! I priori fanno carne!
Terzo sul podio un altro saggio, scritto dallo storico Alessandro Barbero.
L’argomento sono le rivolte popolari avvenute in luoghi distanti tra loro, ma nello stesso specifico periodo del Medioevo, la seconda metà del Trecento: la jacquerie in Francia, i tumulti dei Ciompi a Firenze, la rivolta dei contadini in Inghilterra e quella dei Tuchini nel Canavese, in Piemonte.
La bravura di Barbero sta non soltanto nel modo coinvolgente con cui i singoli episodi sono raccontati e resi interessanti, ma soprattutto nella capacità di tratteggiare un filo rosso che non soltanto collega quelle quattro rivolte tra di loro, ma – esplicitamente – le collega alle rivolte di cui oggi avvertiamo la necessità, ma anche l’imminenza.
Come argomenta lo storico, non si tratta semplicemente di “poveracci che crepavano di fame” che volevano soltanto saccheggiare e rubare, ma di movimenti di intere comunità che hanno migliorato le loro condizioni di vita, e che grazie a questo finalmente prendono coscienza, da un lato, del proprio diritto a mantenere queste condizioni, e a migliorarle ulteriormente; dall’altro, del fatto che a ostacolare questo diritto è una classe – gli aristocratici, i grandi proprietari – che deve essere combattuta e se possibile rovesciata.
Una condizione che si presenta oggi moltiplicata in modo incommensurabile, diffusa in modo capillare, molto più profonda rispetto al Medioevo, e che apre la strada a una stagione di rivolte altrettanto giuste, ma ben più grandi.
FILM
In questa categoria ho scelto i migliori tra i film che ho visto al cinema per la prima volta nel 2024, a prescindere da quando siano usciti nelle sale.
Jonathan Glazer, La zona d’interesse
Primo per distacco è La zona d’interesse di Jonathan Glazer. In un lungo commento scritto poco dopo averlo visto ho cercato di spiegare perché si tratti di un capolavoro assoluto, per me forse il film più compiuto e più importante dell’ultimo decennio.
Justin Triet, Anatomia di una caduta
Anatomia di una caduta ha vinto la Palma d’oro al Festival di Cannes del 2023 e in Italia è uscito nelle sale in autunno. Io l’ho visto a marzo di quest’anno, subito dopo il riconoscimento del premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale, ma soprattutto subito dopo aver visto recitare Sandra Hüller nel film La zona d’interesse.
Hüller interpreta qui il personaggio di Sandra, una intellettuale e scrittrice tedesca emigrata in Inghilterra e poi trasferitasi malvolentieri in Francia, in una remota zona di montagna nei pressi di Grenoble, per seguire il marito Samuel, a sua volta (mancato e frustrato) scrittore, e accudire il figlio Daniel, divenuto non vedente a seguito di un incidente.
Una mattina Samuel viene trovato morto, precipitato dall’ultimo piano del loro chalet: è stato un suicidio, o a ucciderlo è stata Sandra?
Inizia così un thriller legale ma soprattutto psicologico intenso, sostenuto dalla straordinaria interpretazione della protagonista che recita alternativamente in inglese – lingua di elezione ma comunque straniera per il personaggio – e in francese – lingua di adozione che però non ha mai imparato adeguatamente, in una forma di ostilità verso il marito (colpevole tra l’altro dell’incidente di Daniel) e il paese in cui l’ha costretta a trasferirsi.
Il processo a Sandra è il cuore della vicenda, ma più che la verità processuale conta il giudizio morale sulla protagonista: per questo è più facile immedesimarsi nel figlio dell’accusata, piuttosto che nella giuria, ed è proprio questo a rendere la storia tanto coinvolgente quanto incerta nella sua conclusione. In assenza di prove decisive, la necessità di prendere una posizione è soprattutto un’occasione per passare in rassegna i nostri pregiudizi e i nostri valori.
Michele Riondino, Palazzina LAF
Mi era rimasto il rimpianto per non essere riuscito a vedere al cinema il film di Michele Riondino ambientato all’ILVA di Taranto, quando era uscito nell’autunno del 2023. Per fortuna ho potuto colmare la lacuna durante una rassegna estiva.
Il film è ambientato nel 1997, in un periodo cruciale per la storia dello stabilimento e in generale per la storia industriale italiana: sono passati appena due anni dalla privatizzazione dell’ILVA, ceduta dallo Stato alla famiglia Riva. Noi sappiamo che la svendita della fabbrica sarà il primo anello di una catena di sciagure per lo stabilimento, i suoi operai, le loro famiglie, l’intera città di Taranto.
Ma il protagonista della storia, Caterino Lamanna, non lo sa. È un giovane operaio non solo completamente privo di qualsiasi coscienza di classe, ma proprio ostile a qualunque forma di organizzazione dei lavoratori, in primis ai sindacati; è fedele al padrone al punto di prestarsi volontariamente a fare da “spia” e sorvegliare i lavoratori e i sindacalisti più attivi; si fa mandare infine alla Palazzina LAF, un vero e proprio reparto confino in cui – crede – i lavoratori più privilegiati vengono pagati per non fare nulla.
Attraverso i suoi occhi, che come quelli di gran parte degli spettatori (Caterino per ignoranza, noi anche solo per ragioni anagrafiche) sono completamente digiuni di una vera “cultura di fabbrica”, scopriamo così la realtà della violenza – morale prima ancora che fisica – messa in campo dal padronato verso chiunque provi a manifestare o peggio ancora a organizzare il dissenso.
Demansionamenti, umiliazioni, ricatti – sono il pane quotidiano di questi lavoratori vittima di quello che proprio in conseguenza di questa e altre vicende simili sarà definito mobbing.
Per quanto si tratti in fin dei conti di un “racconto a tema”, il film di Riondino non manca di originalità, sia nella scrittura che soprattutto nella regia. I due attori protagonisti – lo stesso Riondino nei panni di Caterino Lamanna ed Elio Germano in quelli del dirigente dell’ILVA Giancarlo Basile – sono straordinari nel rappresentare, l’uno, lo stereotipo dell’operaio figlio degli anni Novanta, egoista e disincantato, l’altro, la ferocia senza scrupoli della classe padronale.
SERIE TV
In questa categoria ho preso in considerazione le nuove serie TV uscite nel corso del 2024: sono escluse perciò le serie di cui nel 2024 sono uscite stagioni successive alla prima. Tra queste, meritano comunque una menzione Only Murders in the Building e Umbrella Academy (quest’ultima in particolare perché si tratta di una stagione conclusiva davvero memorabile anche per il modo in cui conclude la vicenda).
Fa eccezione a questa regola True Detective: Night Country, perché si tratta di stagioni autoconclusive e non legate – almeno apparentemente – le une alle altre.
Ripley (Netflix)
Non ho alcun dubbio sulla serie TV che in quest’ultimo anno mi ha colpito e appassionato di più.
Ripley ha tutti gli ingredienti di una miniserie perfetta: trama avvincente dall’incipit al finale; regia di qualità, in grado di sostenere scelte “pericolose” come quella del bianco e nero; un attore straordinario come Andrew Scott – che recita in inglese e nell’italiano che il personaggio impara a poco a poco – a condurre le danze, ma accompagnato da interpreti altrettanto bravi per gli altri personaggi (degna di menzione una Margherita Buy meravigliosa).
L’Italia del dopoguerra, tra costiera amalfitana, Napoli, Roma, Sanremo e Venezia, fa da memorabile sfondo a una storia che alterna commedia e thriller, psicologia e investigazione, toni cupi o cupissimi e momenti comici.
Capolavoro.
True Detective: Night Country (Sky Atlantic)
Come molti, rimasi a suo tempo folgorato dalla prima stagione di True Detective, con Matthew McConaughey e Woody Harrelson straordinari mattatori. Mollai a metà strada la seconda stagione ed evitai del tutto la terza.
La presenza nel cast di Jodie Foster e una campagna pubblicitaria azzeccata mi hanno invece convinto a vedere questa quarta stagione ambientata in uno sperduto villaggio dell’Alaska durante la notte polare. Non me ne sono pentito.
La storia ha risvolti soprannaturali che, data anche l’ambientazione, ricordano certi racconti di Lovecraft, e non manca anche una certa, apprezzabile, critica sociale. Ma come già nella prima stagione di True Detective, la vera forza della serie sta nella costruzione e nel racconto dei personaggi, e in particolare nell’interazione tra le due protagoniste Liz Denvers (Jodie Foster) e Evangeline Navarro (Kali Reis): è lo sviluppo dei personaggi a portare avanti la storia, ed è questo che rende la vicenda straordinariamente avvincente.
Ben tornata, True Detective!
Hanno ucciso l’Uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883 (Sky Atlantic)
Va be’, troppo facile quest’ultima scelta: già tanto che mi sia limitato a metterla al terzo posto.
In generale, la serie di Sidney Sibilia è ben riuscita perché non affatto la trita agiografia di questo o quel personaggio famoso, e non è neppure soltanto la classica storia di coming of age del ragazzino sfigato che improvvisamente diventa popolare.
L’aspetto interessante è che qui il vero protagonista, più che Max Pezzali, è Mauro Repetto, e la domanda principale che agita il dramma e aleggia fin da questa prima stagione dedicata alla nascita e agli albori degli 883 è: ma com’è possibile che abbia lasciato una strada lastricata di successo per sparire nel nulla? La risposta che comincia a essere costruita è tutt’altro che semplice e fa da contrappeso al tono generalmente leggero – ma mai banale – del racconto.
Un racconto punteggiato di dialoghi brillanti, citazioni e ripescaggi del tempo che fu, divertente e a tratti anche commovente. Ottima poi la scelta dei due attori protagonisti, Elia Nuzzolo e Matteo Oscar Giuggioli, davvero adatti alla parte e totalmente credibili nei ruoli di Pezzali e Repetto.
Dopodiché, per quanto riguarda le mie emozioni, Hanno ucciso l’Uomo Ragno riesce a parlare sia ai miei ricordi di adolescente attraverso l’ambientazione temporale della storia e le canzoni che imparavo a memoria da ragazzino; sia alle mie memorie degli anni trascorsi a Pavia, città che è protagonista del racconto non meno dei personaggi che vi si muovono.
E qui si crea un bel cortocircuito, perché la città che per i protagonisti della serie costituisce una prigione di sfiga (due discoteche e centosei farmacie) per me invece è stato il regno delle possibilità e della libertà. A me pare – ma può darsi che siano le mie lenti personalissime a mostrarmelo – che questa contraddizione esista anche nella serie: perché la percezione che i personaggi hanno della loro città contrasta con le immagini bellissime con cui Pavia è descritta, adagiata sugli argini del Ticino, con le viuzze e gli edifici in mattoni del centro, il ponte coperto sul fiume…
Sì, l’effetto nostalgia su di me funziona.