Ultimo rapporto sull’ingiustizia

Oscurato dal frastuono delle dichiarazioni di guerra, è passato abbastanza inosservato l’ultimo rapporto ISTAT su occupazione, retribuzioni e costo del lavoro dei dipendenti privati, relativo all’anno 2022 e pubblicato la scorsa settimana.

I punti salienti del documento sono:

  1. Il primo dato è che nel 2022 1,3 milioni di lavoratori, oltre il 6% del totale, hanno una retribuzione inferiore ai due terzi della retribuzione mediana: sono i “lavoratori poveri” di cui ha parlato Maria Elena Scandaliato nella sua recente inchiesta per Spotlight e di cui ho scritto recentemente.
  2. Bisognerebbe però interrogarsi se la definizione scientifica di “lavoro povero”, ancorata al rapporto con la retribuzione mediana, sia ancora corretta. La retribuzione oraria mediana è nel 2022 di 11,75€, in crescita dello 0,4% rispetto all’anno precedente, ma a fronte di un’inflazione reale del 2% nel 2021 e dell’8% nel 2022!
  3. Ecco perché oltre 3 milioni di lavoratori risultano avere più di una posizione lavorativa nell’anno: si tratta in gran parte di lavoratori precari che nell’arco di un anno cambiano lavoro (magari anche più di una volta), ma verosimilmente anche di lavoratori che non ce la fanno con un solo stipendio e hanno bisogno di più lavori contemporaneamente.
  4. Che la precarietà sia crescente lo conferma la durata mediana delle posizioni lavorative, che si riduce dai circa 365 giorni registrati negli anni dal 2014 al 2021, a 348 giorni nel 2022: “Tale riduzione dipende da una crescita della quota delle posizioni a tempo determinato sul totale delle posizioni.
  5. Nonostante il leggero aumento delle retribuzioni (almeno in valore assoluto anche se non in termini di potere d’acquisto), diminuiscono i contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro: è “l’effetto delle politiche di decontribuzione a sostegno delle imprese e dell’occupazione“. A quanto pare dunque queste politiche funzionano benissimo quando si tratta di regalare soldi alle imprese, mentre non producono effetti per quanto riguarda il sostegno all’occupazione, tra precarietà crescente e salari da fame. Quando ci dicono che bisogna tagliare le pensioni e aumentare l’età pensionabile perché il bilancio dell’INPS è in rosso, si dimenticano sempre di citare i miliardi di regali fatti alle aziende da governi di tutti i colori, soprattutto da Renzi in avanti: lo ha spiegato molto bene qualche settimana fa il giornalista Marco Palombi su Il Fatto Quotidiano osservando, dati alla mano, che “la spesa netta previdenziale in senso proprio è stata di 182 miliardi circa, ben 42,5 in meno delle entrate contributive. Risultato: sono le pensioni da lavoro a finanziare il sistema e non il contrario.”
  6. L’ingiustizia è anche di genere, e anche questa è crescente. Un primo dato significativo riguarda la quantità di lavoro, cioè la possibilità di lavorare a tempo pieno e per tutto l’anno: a livello nazionale, la percentuale complessiva di chi lavora full time full year è del 31,8% sul totale dei lavoratori, ma per le donne è solo del 22,6%, con un gap di genere di quasi il 20%. Un divario che ovviamente impatta sulla retribuzione mediana annua, che è di 12.250€ per il totale dei lavoratori, ma è superiore ai 15.000€ per gli uomini e inferiore ai 10.000€ per le donne.

Ci dicono che dobbiamo distrarre miliardi dalla spesa sociale per destinarli alla spesa militare. Ma l’unico riarmo di cui i lavoratori hanno bisogno è quello – teorico e organizzativo – che serve a combattere la guerra contro i loro sfruttatori, per porre fine a un sistema marcio che si nutre di ingiustizie e disuguaglianze senza fine.

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