Questo è il primo post scritto dal Collettivo Sciallomarxista Juruguayld, che potrete leggere nelle pagine di Avvocato Laser e in quelle di MauroVanetti.info.
“Sempre due essi sono, un maestro e un apprendista”, diceva il venerabile Maestro Yoda a proposito dei malvagi Sith. I fratelli Ichino, da abituali frequentatori del Lato oscuro della Forza, non sfuggono alla regola.
Probabilmente per mostrarsi all’altezza del maestro Pietro, l’apprendista Andrea, con un altro bocconiano di nome Alberto Alesina hanno pubblicato sul Corriere della Sera del 15 febbraio un articolo subdolamente intitolato “Se il posto non è fisso il salario va alzato”. Il titolo è ingannevole, perché in realtà l’obiettivo è far sì che il salario per il posto fisso sia abbassato.
Si può riassumere l’articolo in tre punti senza far torto al ragionamento di Alesina e di Ichino Junior (verrebbe da chiamarlo “l’Ichino dei poveri”, ma tutti gli Ichino sono inequivocabilmente solo dei ricchi).
Prima ichinata
Ci viene spiegato che se un lavoratore ha un posto fisso, l’imprenditore è disposto a pagarlo meno che se potesse licenziarlo in qualsiasi momento. In pratica, dunque, i lavoratori pagherebbero di tasca loro il costo della maggiore sicurezza, sotto forma di una implicita riduzione di stipendio. I due studiosi pensano addirittura che si possa calcolare il costo della sicurezza contrattuale: per i metalmeccanici viaggerebbe tra il 5 e l’11% del salario.
Può mai un Ichino accettare che i soldi dei lavoratori siano dissipati per una cosa così sciocca come la sicurezza del posto di lavoro? Certo che no, tanto meno se il caso vuole che una proposta di legge firmata dal sangue del suo sangue (ma ci sa che se la proposta passasse sarebbe ratificata più che altro col sangue dei lavoratori) abbia precisamente lo scopo contrario.
Qua però cominciano le disavventure dei nostri bravi teorici, perché un omino dei sondaggi bussa alla loro porta e consegna loro un foglietto con le risposte di un campione rappresentativo di giovani italiani a questa domanda: “Saresti tu disposto a essere pagato un po’ di più a condizione di rinunciare al posto fisso?”. I bocconiani fanno la domanda a sé stessi e si rispondono: “Certo che no! Tanto guadagno già un sacco e non ho certo voglia di perdere un lavoro così rilassante come l’economista!” Ma il loro, si capisce, è un caso particolare. Senz’altro, pensano, chi fa un lavoro di merda e sottopagato come l’operaio o l’impiegato avrà risposto di sì.
Qui casca l’asino! L’omino dei sondaggi scuote la testa e porge il responso: anche l’84% dei giovani italiani ha risposto di no. Stolti! Ma i due accademici non si scompongono: anzi, per dar prova d’onestà intellettuale, infilano la statistica nel loro stesso articolo, e la neutralizzano dicendo che è colpa dell’“apartheid” tra precari e garantiti. Ichinetto sorride ad Alesina, Alesina sorride ad Ichinetto: questa cosa dell’apartheid è proprio un colpo gobbo, solo un razzista potrebbe approfittarsi di un sondaggio estorto in regime di apartheid!
Seconda ichinata
Stabilito che in linea teorica il precario dovrebbe essere pagato più dell’assunto, perché si accolla i costi della sicurezza contrattuale bla bla bla, un altro grave ostacolo concettuale rischia di vanificare gli sforzi dei nostri studiosi, mettendo in pericolo la possibilità di farsi pubblicare sul Corriere della Sera. Lo scrivono loro stessi: “Ma allora perché in Italia sembra che i lavoratori precari abbiano non solo un posto insicuro ma anche una retribuzione inferiore?”. Si noti la delicatezza con cui scrivono “sembra”; nei mesi di studio necessari ad elaborare questa ricerca, non hanno avuto certo tempo di verificare sul campo la condizione dei precari, si devono quindi affidare a voci di corridoio. In effetti voci simili sono giunte anche a noi: parrebbe che in Italia – e, a dirla giusta, su tutto il pianeta – i precari siano spessissimo pagati meno degli assunti a tempo indeterminato.
Ecco la brillante soluzione: “Perché i lavoratori protetti, ossia i dipendenti pubblici e quelli nelle aziende sopra i 15 dipendenti, sono difesi dai sindacati mentre i giovani precari no”. Per dirla in parole semplici: perché i sindacati sono stronzi e razzisti.
L’argomentazione non fa una grinza… o forse sì? Facciamo un passo indietro: Ichino e Alesina dicevano che i padroni sarebbero disposti a pagare di più i precari, perché tanto possono licenziarli al volo; eppure i precari non beccano l’ombra d’un quattrino perché… i sindacati sono stronzi. Saranno pure stronzi ma forse i sindacati proibiscono ai padroni di alzare lo stipendio ai precari? Sembra difficile crederlo, anche dalla torre eburnea in cui risiedono quei due.
Ci sembra di capire che per passare da una astratta disponibilità dei datori di lavoro a pagare di più all’atto concreto di cacciare la lira sia necessario un intervento risolutivo dei sindacati, vale a dire dell’organizzazione dei lavoratori, della lotta di classe, insomma dell’alzare la voce da parte del lavoratore salariato. Senza questo intervento, la disponibilità resta tutta nel mondo delle idee, ma quando vai a fare la spesa non ti chiedono la disponibilità a pagare ma vogliono proprio che tu consegni alla cassiera monete e banconote.
Perché mai dunque “i sindacati” non proteggerebbero proprio i precari e i lavoratori delle piccole aziende? Diciamola meglio: perché mai sono proprio questi lavoratori che non riescono ad essere convincenti come i dipendenti pubblici e quelli delle grandi aziende quando si tratta di far sborsare al datore di lavoro tutta la sua disponibilità?
L’avranno capito anche i nostri lettori, sempre che non siano economisti della Bocconi: perché se sei precario o se lavori in una piccola azienda sei più ricattabile, fai più fatica ad alzare la voce, al sindacato non ti iscrivi o se ti iscrivi ti accontenti di andarci a fare il 730. E così mandi giù. Il padrone sarà anche più disponibile, ma sei costretto a esserlo anche tu.
Terza ichinata
“La soluzione che propone il sindacato è semplice: diamo a tutti il posto fisso. Ma è un’utopia”. E perché? Be’, ma è chiaro, perché lo dicono ipsi.
Di passaggio osserveremo che nella nostra modesta esperienza al di fuori del mondo fatato dell’accademia, non abbiamo visto così spesso il sindacato propugnare il posto fisso per tutti – e ancor meno l’abbiamo visto agire concretamente per ottenerlo. Ci è parso piuttosto che più spesso di quanto avremmo voluto ragionasse proprio come questi castiga-FIOM, accettando le richieste di maggiore precarietà che venivano dalla controparte come una necessità inevitabile, a cui opporsi sarebbe stato “utopistico”. Ma, a quanto pare, anche quel poco di resistenza opposta dal movimento operaio è fin troppa, e conviene scrivere articoli antisindacali sul Corriere per tentare di fiaccarla ulteriormente.
L’impianto argomentativo dell’articolo, arrivati a questo punto, sta davvero su con lo sputo, come si suol dire. Sbuffando e contorcendosi, dopo un lungo brainstorming i due sono ancora alla ricerca dell’argomentazione finale, il classico ultimo tassello del puzzle. “Eppure mio fratello era stato così convincente, ieri sera a cena. Proprio non riesco a ricordarmi che diceva… Il Porto comunque era squisito”.
Non resta quindi che far ricorso all’armamentario retorico delle maestre d’asilo: “Se fate così, fate piangere il papà e la mamma”. D’altra parte, l’obiettivo è colpevolizzare i giovani, no? Ecco come esprimono il concetto nell’articolo: “Un mondo incentrato sul posto fisso è un mondo in cui il welfare lo fa la famiglia, con le risorse guadagnate dal padre (tipicamente unico a godere della sicurezza) e distribuite ai familiari dalla madre che spesso lavora in casa, con nonni e figli adulti che vivono insieme e si assistono gli uni con gli altri”. Cercando di avere un posto fisso a tutti i costi, invece di accontentarsi di una sfilza di contrattucoli precari, gli italiani bamboccioni costringerebbero dunque mammà a fargli i ravioli e pulirgli la stanzetta e papà a sgobbare in un obsoleto posto fisso. Per non parlare di quei parassiti dei nonni!
Ecco dunque la soluzione: mamma in un call centre, papà licenziabile da un giorno all’altro, figlio a far panini da McDonald’s, figlia a far marchette, nonno e nonna senza pensione così si levano dalle scatole prima. Questo moltiplicato per tutti i 10 milioni di famiglie operaie e impiegatizie d’Italia. Così stando le cose, le banche saranno purtroppo un po’ restie a concedere mutui, ma poco male: genitori e figli, ex precari ed ex assunti, finalmente sconfitto l’apartheid, potranno riscaldarsi per strada attorno a fuochi allestiti in comodi bidoni di metallo. Come combustibile, useranno libri e altra fuffa cartacea ormai superflua, perché ad occuparsi della teoria ci sono Alesina e i due Ichino.
E dalla finestra più alta della torre d’avorio, stendendo lo sguardo sul fumo nero che si leva dai roghi, apprezzando come una musica celestiale i singhiozzi di diperazione, lo stridor di denti e il cigolìo di catene, Alesina sorride a Ichinetto, Ichinetto sorride ad Alesina. Insieme volgono lo sguardo al maestro che bonario concede al fratellino: “Hai agito bene, mio giovane apprendista”.