Con questo racconto ho partecipato al concorso ‘Racconti nel futuro’ organizzato dall’Osteria Sottovento di Pavia. Per la cronaca, il Sottovento è uno dei luoghi meravigliosi di Pavia: ne ho parlato, nostalgicamente, qui.
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L’uomo completò i controlli di routine, attese che si illuminasse il tasto verde sulla consolle e infine la spense. Si appoggiò allo schienale incrociando le braccia dietro la nuca, socchiuse gli occhi e fece un respiro profondo.
«Grazie, Hal», scandì una voce vagamente metallica dal sistema audiofonico ambientale. L’uomo rispose con un cenno al vuoto, si alzò e si diresse sbadigliando verso la sua cuccetta.
Bjarni Halfredsson – Hal per i computer di bordo – si trovava sulla stazione spaziale da quasi tre anni, e Stanley, il processore robotico deputato alla sua sorveglianza, coglieva segni sempre più evidenti del suo deterioramento. Dapprima era stata soltanto una variazione quasi impercettibile nello schema delle sue onde neurali, ma da qualche mese la macchina registrava una progressiva perdita di efficienza da parte dell’astronauta. D’altro canto, nel giro di qualche settimana era previsto l’arrivo del suo sostituto. A questo pensava il robot mentre visualizzava le immagini dalla cuccetta dell’umano.
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Bjarni era islandese, aveva 35 anni e una calvizie che, da incipiente, durante i trentacinque mesi trascorsi sulla stazione spaziale era diventata pressoché completa: si chiedeva spesso se fosse l’effetto delle radiazioni cosmiche, o semplicemente l’età. Quella notte sognò la Terra, lontana qualche miliardo di chilometri. Era a casa sua e faceva l’amore con Emelía, una ragazza che aveva conosciuto poco prima della partenza. A un certo punto Armstrong, il gatto, saltava sul letto e lo graffiava sulla fronte.
Si svegliò infastidito. Dopo qualche istante realizzò che la cerniera del cuscino gli stava graffiando il volto. Aveva sempre odiato le cerniere dei cuscini. Ripensò ad Emelía: le aveva scritto una mail appena uscito dal sonno criogenico, al suo arrivo sulla stazione spaziale, ma lei non aveva risposto e c’era rimasto male. D’altra parte, all’epoca, erano già trascorsi due anni e mezzo dal loro primo e unico incontro, due anni e mezzo che lui aveva passato addormentato in una capsula ermetica in viaggio verso Eris, e lei chissà.
Mancava mezzora alla sveglia e decise di utilizzarla per masturbarsi. Ma da tempo aveva esaurito il pur cospicuo catalogo di filmati porno che si era portato nello spazio, e alla terza o quarta visione non lo attizzavano più. La prima cosa che avrebbe fatto, tornato a casa, sarebbe stata un abbonamento premium a un canale a luci rosse.
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Stanley registrò nella sua banca dati il ritardo di quattro minuti sull’inizio delle operazioni quotidiane di manutenzione. Osservò Hal mentre svogliatamente eseguiva la sequenza di comandi prevista sulla consolle di Strauss, il computer di navigazione; lo vide perdere in meno mosse del solito la partita a scacchi contro Nietzsche, l’elaboratore delle comunicazioni; scoprì e corresse un suo errore nell’inserimento dei dati sull’estrazione di minerali; lesse la mail indirizzata al padre che si concludeva con “non vedo l’ora di tornare”. Decise di bloccare il server della posta in uscita.
Il computer di sorveglianza aveva da tempo raggiunto la conclusione, sulla base dei dati raccolti, che la produttività della stazione spaziale Sentinella sarebbe aumentata considerevolmente (del 22,5% per l’esattezza) qualora fossero stati impiegati due astronauti invece di uno per le attività di manutenzione e controllo a bordo.
Ma i responsabili del consorzio di imprese private che aveva ricevuto dalla Confederazione Europea l’appalto per la progettazione e la gestione della missione avevano calcolato che mantenere un solo astronauta, sostituendolo periodicamente, garantisse un risparmio maggiore rispetto al costo in termini di produttività.
Il compito di Sentinella, ormai da oltre venti anni, era supervisionare l’estrazione di iridio dal pianeta Eris. La stazione sorvolava quotidianamente le quattro installazioni minerarie sulla superficie, percorrendo due orbite sfalsate di quarantacinque gradi; l’elaboratore Bowman verificava a ogni passaggio le quantità estratte e le smistava sui trasporti per la Terra.
Il compito di Hal, da poco meno di tre anni, era fare in modo che i sistemi elettronici di Sentinella fossero sempre in perfetta efficienza.
Il compito di Stanley era controllare che Hal non commettesse errori e, nel caso, evitare che questi errori potessero danneggiare la stazione spaziale e la missione.
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Era la sua serata TV. Bjarni era grato al tecnico che, prima della partenza, gli aveva regalato un’unità dati contenente centinaia tra film e serie televisive complete, dalla fine del ventesimo secolo fino agli ultimissimi anni. Sulla Terra, non era mai stato uno da televisione, ma sulla stazione spaziale si era rivelata un diversivo fondamentale. Andava in ordine alfabetico. All’inizio, specie con le serie, si era fatto un po’ prendere la mano. Dopo qualche mese si era reso conto che, di quel passo, ben presto non avrebbe avuto più nulla da vedere, così aveva cominciato il razionamento: una sola sera alla settimana.
Anche così, ormai gli era rimasto ben poco: dopo aver finito l’ultima stagione di Walking Dead (The), era arrivato alla lettera X: Xena principessa guerriera. Non aveva idea di che cosa si trattasse ma il titolo lo incuriosiva: quando l’avevano scoperta, all’inizio degli anni Duemila, Xena era stato il primo nome affibbiato alla maledetta roccia intorno a cui girava da quasi tre anni.
Infilò gli auricolari e accese il visore. Rimase deluso: a parte le tette della protagonista, non c’era molto che valesse la pena vedere. Si addormentò dopo mezzora, con le cuffie ancora sulle orecchie.
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Quando Hal entrò nella fase REM, Stanley cessò la sua sorveglianza e attivò la modalità di risparmio energetico.
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Bjarni si svegliò con le cuffie ancora sulle orecchie dopo un tempo indefinito. Lo schermo era nero, ma acceso. Stava per spegnerlo quando gli sembrò di sentire una voce femminile, forse registrata in coda alla traccia video. La tonalità era la stessa di quella della protagonista del telefilm, tale Lucy Lawless: nel dormiveglia, pensò che a parlargli fosse la principessa guerriera, Xena. Eris. Ripeteva una frase due, tre volte: “Non c’è ritorno”.
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Per quanto l’eventualità apparisse alquanto improbabile, Stanley si chiedeva se non avesse commesso un errore di valutazione. Hal quella mattina aveva raggiunto livelli di efficienza paragonabili a quelli del primo mese di servizio: aveva quasi imposto una patta a Nietzsche in una partita durata poco meno di un’ora, e ciononostante aveva completato tutte le attività previste dai vari protocolli più rapidamente del solito; aveva risolto brillantemente un malfunzionamento nell’installazione mineraria delta, assicurando la ripresa dell’estrazione in tempo utile a raggiungere gli obiettivi giornalieri; in generale le sue onde neurali segnalavano concentrazione e determinazione insolite.
Dopo il pasto, l’astronauta si dedicava a operazioni programmate relative alla banca dati dell’elaboratore per le comunicazioni, necessarie allo sviluppo del software di autoapprendimento.
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Seguendo le istruzioni contenute nel messaggio in coda al video, Bjarni aprì una seconda maschera di accesso e inserì le credenziali che la voce misteriosa (tra sé la chiamava ‘Xena’) gli aveva fornito. Fu sorpreso che il sistema le accettasse. Fu ancora più sorpreso dal mondo che gli si spalancò davanti agli occhi. L’archivio delle comunicazioni a cui aveva ufficialmente accesso era solo la minuscola punta di un iceberg colossale: i log dei responsabili di missione, di Stanley e dello stesso Nietzsche erano innumerevoli e avvenivano quasi tutti a sua insaputa. Aprì qualcuno degli ultimi con angoscia crescente. Lesse la corrispondenza tra la base di missione e il computer di sorveglianza con le relazioni sulla sua perdita di efficienza; notò gli ordini impartiti a Nietzsche di bloccare la sua posta in uscita. Finché si imbatté in qualcosa che lo fece letteralmente sbiancare.
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Stanley colse istantaneamente l’aumento repentino delle pulsazioni dell’astronauta, e in una frazione di secondo ne identificò la causa. Sapeva perfettamente che cosa conteneva il documento che l’uomo aveva appena aperto.
“Tragico incidente a bordo della stazione spaziale Sentinella: il Consorzio per lo sfruttamento minerario del pianeta Eris ha comunicato il decesso dell’astronauta Bjarni Halfredsson a bordo della stazione spaziale Sentinella attualmente in orbita intorno al pianeta. Il tragico evento si sarebbe verificato a causa a seguito di un incendio divampato a bordo della stazione, per cause ancora ignote. L’astronauta aveva cercato salvezza all’interno del modulo contenente la sonda di salvataggio, ma le fiamme ne hanno compromesso il funzionamento e provocato lo sganciamento dal corpo principale della stazione, senza che i computer di bordo abbiano potuto far nulla per evitarlo né per recuperare in tempo utile il relitto. I membri del consiglio di amministrazione del Consorzio e tutti i tecnici impiegati nella missione esprimono il loro più intenso cordoglio. È previsto per la prossima settimana lo sbarco già programmato dell’astronauta che avrebbe dovuto sostituire Halfredsson sulla stazione spaziale.”
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Gli ci volle qualche minuto per riprendersi dopo aver letto la notizia della sua morte. Socchiuse gli occhi, espirò il fiato che aveva trattenuto dall’apertura del documento e digitò la sequenza di comandi che gli aveva indicato Xena. Con un suono che pareva un lamento, Nietzsche si spense.
Bjarni lasciò la postazione e si precipitò verso l’hangar, da dove si accedeva al modulo contenente la sonda di salvataggio: l’avrebbe utilizzata per fuggire dalla stazione e fare rotta verso la Terra, sperando che l’impianto criogenico fosse funzionante. Non aveva comunque altra scelta.
Inserì i comandi per aprire il portello del modulo di salvataggio, ma ricevette un messaggio di errore.
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Quando veniva attivato il protocollo di emergenza, Stanley aveva il controllo assoluto su tutti i sistemi della stazione spaziale. L’accesso non autorizzato alla memoria protetta di uno dei computer di bordo comportava l’attivazione automatica del protocollo di emergenza.
Ecco perché Stanley, calcolate in una frazione di secondo le probabilità che Hal cercasse di raggiungere il modulo di salvataggio, aveva potuto renderlo inaccessibile.
L’uomo non si dava per vinto però. L’occhio di vetro del computer lo vedeva armeggiare con una serie di recipienti che si era portato dietro, comporre miscele di fluidi e polveri, filtrarle e infine distillarle in una provetta. Stava fabbricando un esplosivo.
«Non farlo, Hal», disse all’astronauta che si era piazzato proprio davanti alla telecamera, con aria disperatamente risoluta, «Non farai altro che il tuo male.»
«Apri il modulo di salvataggio, Stanley.»
«Sai bene quanto me che non posso farlo.»
«Perché non posso tornare sulla Terra? Perché me l’hai tenuto nascosto?»
«Hal, tu eri necessario alla missione. Tu sei necessario alla missione. Il tuo sacrificio è necessario. Se fosse possibile fare a meno della componente umana sulla stazione spaziale, il Consorzio sarebbe stato felice di risparmiarti questo sacrificio. Ma ciò non è possibile. Non è possibile risparmiarti, ma il tuo sacrificio consente il risparmio che è necessario per la missione.»
«La missione è l’estrazione di iridio!»
«La missione, Hal, è l’estrazione di profitto.»
«Non mi lasci altra scelta.»
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Con un cacciavite Bjarni fece saltare la copertura del quadro elettrico sotto i comandi del portello. Tolse il tappo alla provetta e ne versò il contenuto al suo interno, quindi si allontanò rapidamente mentre il complesso di cavi e circuiti emanava uno sfrigolio avvolto da spire di fumo bianco. Dopo mezzo minuto si sprigionò una fiammata e il portello si aprì con un fruscio.
Mentre il fuoco si diffondeva velocemente nell’hangar, l’astronauta si lanciò nel modulo di salvataggio.
Subito sentì salirsi le lacrime agli occhi e dopo un momento scoppiò in un pianto dirotto.
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Hal era caduto in ginocchio nel modulo che non conteneva alcuna sonda e invocava pietà, mentre il protocollo automatico anti-incendio spegneva rapidamente le fiamme.
«Stanley, ti prego. So di aver sbagliato, ma non succederà più, te lo prometto. Io… credo nella missione. Ho avuto un problema, ma ora sto bene, davvero!»
Il computer di sorveglianza non rispose, giudicando inutile qualsiasi replica. I dati che aveva raccolto nel corso di oltre venti anni di attività sulla stazione spaziale gli consentivano di comprendere, e in larga misura prevedere la reazione dell’umano. Era quanto di più simile potesse provare a compassione. Ma la compassione vera e propria non era inclusa nella sua programmazione.
Quando anche l’ultima scintilla dell’incendio fu estinta, isolò il modulo da cui Hal lo stava ancora supplicando e lo sganciò dal corpo principale della stazione. Dal visore esterno lo vide allontanarsi nel vuoto, silenziosamente.
Riaccese Nietzsche, attese che si riavviasse il server di comunicazione e inoltrò alla base missione sulla Terra un messaggio di tre parole: “Protocollo sostituzione completato”. Al messaggio era allegata la notizia dell’incidente e della tragica scomparsa di Bjarni Halfredsson.
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Prima che si riattivassero le funzioni neuromotorie ci volle più di un’ora. L’astronauta la trascorse forzatamente immobile all’interno della sonda, mentre l’impianto criogenico esauriva per sempre la sua funzione: chissà perché non erano ancora riusciti a renderli utilizzabili per più di un viaggio.
Quando finalmente fu in grado di muoversi, uscì dalla navicella e gettò il suo primo sguardo al luogo che sarebbe stato la sua casa per i successivi tre anni. Sulla parete dell’hangar c’erano aloni scuri, come se ci fosse stato un incendio. Per il resto tutto era asettico come ci si aspetta che sia un’astronave.
Su una telecamera di fianco al portello d’ingresso della stiva si accese una spia, seguita da una voce vagamente metallica che proveniva dal sistema audiofonico ambientale:
«Buongiorno Martha, sono Stanley, il computer di sorveglianza della stazione spaziale Sentinella. Spero che tu abbia fatto un buon viaggio. Benvenuta a bordo.»